
E’ rimasto nella quieta di San Pellegrino Terme, la sua casa da sempre. Ivan Gotti è uguale a quando correva, nella gentilezza, nella timidezza, nella vita semplice.
Lo incontri e ti racconta di sé, dei lavori in casa per sistemare il parquet, del suo lavoro come agente alla Ferrero e di quelle uscite in E-Bike nei boschi dell’Alta Val Brembana, divertendosi e senza fare la fatica di quegli anni.
«Eh sì, perché per andare in bici, la bici da strada – ci dice sorridendo – si fa comunque un grande sforzo, in primis bisogna allenarsi».
Con la bici elettrica è tutta un’altra cosa..
«Riesco davvero a svagarmi. E poi è l’unica attività sportiva che faccio ora, a 56 anni. Di fatica ne ho fatta tanta negli anni in cui correvo».
E quest’anno, proprio in questi giorni che portano al via del Tour de France, la mente non può non tornare al 1995, alla maglia gialla.
«Sono passati trent’anni, è un bell’anniversario. E quella maglia fu una vera sorpresa per me, non ero tra i favoriti. Ma ci furono circostanze anche favorevoli: avevo vinto la crono a squadre con la mia Gewiss e poi approfittai della caduta di Jalabert. Così alla fine della giornata, a Le Havre, la maglia gialla toccò a me e la tenni per due giorni. Sul podio fu un misto di emozione e di incredulità. Non ero mai salito su un gradino così alto, così prestigioso».
E il mattino dopo ti sarai reso conto dell’importanza di quella maglia..
«Ci fu grande attenzione verso di me, però ero tranquillo sapevo che sarebbe arrivata presto, quella maglia, sulle spalle di Indurain (che poi vinse quel Tour, ndr)...».
Tu eri sorpreso: chi era intorno a te lo era altrettanto?
«Vi racconto questo episodio: poche settimane prima ero a Perugia, alla vigilia della partenza del Giro d’Italia e mi venne la febbre. Emanuele Bombini, il mio ds, dovette sostituirmi con Santaromita e io tornai verso Bergamo con il Patron Bosatelli. Lungo la strada ero abbattuto e lui mi disse: "farai bene in Francia". Ebbe ragione perché poi, persa la maglia, ebbi altre giornate buone e finii al quinto posto. Mi servì per capire che nelle corse a tappe avrei potuto fare bene».
Dopo due anni infatti arrivò il Giro d’Italia, un trionfo partito da Aosta. E adesso sei spettatore di Giro e Tour?
«Sì, non mi perdo le tappe principali. Quest’anno al Tour – come ai tempi di Indurain – c’è un grande favorito, ovviamente Pogacar. E’ impressionante quello che riesce a fare. Mi ha colpito al Delfinato, ma anche alla Parigi-Roubaix. Fuoriclasse su tutti i terreni, per la fisicità ma anche per la testa. Ripensando ai miei tempi, mi viene in mente solo Gianni Bugno con caratteristiche simili. Ma a livello mentale... be’, nessuno come Pogacar».
A casa tua c’è ancora il leoncino del podio del Tour, compie trent’anni anche lui...
«Vero, proprio un bel ricordo. Mi viene da sorridere ripensandomi in quei giorni: la maglia gialla, chi l’avrebbe mai detto? Anzi, quasi quasi la tiro fuori e la metto in una delle prossime uscite nei boschi verso Foppolo».
In silenzio, nella sua pace, con quel tocco giallo. Per ricordare le emozioni, tra gioia e sorpresa, di quel luglio 1995.