CICLISMO E SICUREZZA STRADALE. SE TRENTO INSEGNA, VINGEGAARD NON AIUTA

NEWS | 01/04/2025 | 08:18
di Silvano Antonelli

Il 15 marzo scorso, sfidando il cattivo tempo, il popolo della bicicletta è sceso in piazza a Trento per l’iniziativa “Sulla buona strada”, promossa dal Comitato Provinciale della FCI e dal suo presidente Renato Beber, per scuotere l’opinione pubblica, enti, autorità ed istituzioni, sul delicato tema della sicurezza stradale, dalla violenza alla guida alla tutela dei ciclisti e del ciclismo.


Lo ha fatto con una piattaforma di richieste ampiamente condivisibile: maggiori controlli sulla velocità e sul rispetto della distanza di 1,5 metri nel sorpasso dei ciclisti, diffusione delle “bike lane” e cartellonistica pro ciclisti, piani di manutenzione stradale, estensione delle zone 30 km/h nei contesti urbani, la comunicazione e l’incentivazione della mobilità sostenibile, la collaborazione delle scuola guida e delle scuole di ogni ordine e grado per la promozione di progetti di educazione stradale e per la realizzazione di infrastrutture ciclabili sicure per la viabilità ordinaria e la promozione sportiva.


L’iniziativa ha avuto una degna eco sui media locali e qualche sito nazionale, ampiamente meritata per volontà d’azione e contenuti, peccato però che alla doverosa cronaca dell’evento non abbia fatto anche da cornice una forte presa di posizione, con commenti decisi di sostegno e condivisione, anche dall’intero movimento ciclistico, soprattutto di quella parte più rappresentativa e che, volendo, molto può smuovere.

Non che tutti debbano fare le stesse cose e contemporaneamente, ma di Trento occorre capire, ripeto: capire, che quella iniziativa andrebbe ripetuta in tutte le città d’Italia, sotto la spinta della nostra Federazione e di quanti volessero essere della partita, o della “pedalata” se si preferisce.

Vanno bene le rivendicazioni, i convegni, le interviste e tanto altro, ma per determinare davvero quella svolta culturale ritenuta indispensabile ma impossibile in tempi brevi, occorre quantomeno da subito esercitare il massimo della spinta possibile attraverso un vero e proprio concerto di manifestazioni, di presenza nelle strade e nelle piazze, nel tentativo di abbattere gli odiosi paletti dell’indifferenza e degli stereotipi dello status quo.

Abbattere pure l’inconsapevole (?) inerzia presente in molti di noi, pigramente prigionieri dell’idea che i piccoli passi non servano o restino insignificanti rispetto alla consistenza del problema. Quando invece da sempre i cambiamenti, quelli giusti, si sono realizzati in progressione, evitando che utopia e immobilismo si annullino a vicenda. E sempre che si disponga di una classe dirigente che i processi li sappia guidare.

Trento, si è proposta come una iniziativa locale, ma a ben vedere, il suo valore è di ben’altra dimensione: ha fatto capire che volendo si può, ha dato l’esempio dell’essere e del fare, esattamente quanto andrebbe sparso nei più diversi angoli del nostro intero Paese.

Ma Trento ha dato anche un altro segnale importante: quello di non lasciarsi sopraffare dal dolore e dal possibile smarrimento di chi viene direttamente o indirettamente colpito dai lutti della sua passione affettiva e sportiva, come quando Matteo Lorenzi e Sara Piffer hanno perso la vita in allenamento e che giustamente i trentini hanno voluto ricordare, rendendogli omaggio con l’impegno di agire perché non accada mai più. Missione irrinunciabile per chiunque voglia ritenersi protagonista del nostro ciclismo, del suo futuro e del diritto di tutela per chiunque ami la bicicletta.

Ecco allora cadere le braccia, sentirsi spiazzati e pure indignati, quando uno dei massimi campioni del nostro ciclismo, Jonas Vingegaard, intervistato sul tema della sicurezza alla fine della prima tappa dell’ultima Parigi-Nizza, dichiara: «Ho due figli e se un giorno mi chiedessero di correre in bici, io gli direi di no». Così riporta Tuttobiciweb dello scorso 10 marzo.

Capito? Non ha detto «sarei preoccupato», oppure «mi auguro per loro che intanto la situazione migliori», oppure ancora «dovrei dargli molti consigli per la loro tutela». Niente di tutto questo, ha preferito un secco «gli direi di no». Quasi una sentenza, facendo capire che per lui, lui che il ciclismo lo conosce così bene, la sicurezza stradale per i ciclisti è, e sarà, una battaglia definitivamente persa.

Dal mondo sportivo, dirigenti, tecnici, corridori o giornalisti, ci si poteva attendere una levata di scudi a fronte del Vingegaard-pensiero-sicurezza, ma invece, niente. Come un di cui assolutamente trascurabile.

Intendiamoci, un genitore, in quanto tale, ha diritto di pensare e fare ciò che vuole per il bene dei propri figli, non è questo che si vuole negare. Ma se il genitore è anche una delle massime espressioni del suo sport, blandito, osannato ed emulato, che per merito proprio ma anche di chi attraverso la bici lo ha tolto dal mercato del pesce facendolo diventare milionario e soggetto pubblico, può, dopo tutto questo, davvero ritenere opportuno dire che il ciclismo, viste le strade pericolose, è una disciplina che intende bandire ai propri figli?

Il problema della sicurezza è serio, i timori vanno compresi, non lo si può negare, ma se a Vingegaard non si obietta nulla, allora chiediamoci: come è possibile fare proselitismo chiedendo ai genitori di prestare al ciclismo i loro figlioli? Forse che i figli degli altri sono da meno di quelli nostri? Forse è il caso di soppesare meglio le parole e certe dichiarazioni. Per il ciclismo e per sicurezza stradale c’è bisogno del contributo di tutti i nostri migliori testimonial, in particolare dei campioni che la gente ama. Sarebbe un peccato perderne altri dopo quello danese.

Al termine dell’ultima Tirreno-Adriatico, con le belle vittorie di Ganna, Milan, Vendrame e di quella altrettanto stupenda della Balsamo nel Trofeo Binda, il presidente della FCI Cordiano Dagnoni ha dichiarato: «Il mio augurio è che l’esempio di tutti loro e la voglia di emularli rappresenti un potente volano per tutta l’attività di base e avvicini sempre più bambini al nostro stupendo sport». Augurio legittimo e condivisibilissimo. Ma non si trascuri la differenza tra l’esempio di Trento e quello di Vingegaard.


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COMMENTI
Purtroppo.
1 aprile 2025 09:31 59LUIGIB
Purtroppo molti rinunciano a lottare contro la burocrazia e l'inerzia delle istituzioni la sicurezza per chi va in bici dovrebbe essere una priorità di ognuno di noi quindi meglio seguire gli esempi positivi di chi ha provato gravi lutti e si batte perchè altri non debbano provare lo stesso piuttosto che avere l'atteggiamento di chi pensa che non si possa invertire la rotta.

Vingegard
1 aprile 2025 13:01 Stef83
Ti pare.... Se lo avesse detto Pogacar,gli si faceva una statua...! Ha pienamente ragione, vado in bici da 30 anni, e se mia figlia farà uno sport diverso dalla bici né sarò contento!

Vingegaard ha perfettamente ragione
1 aprile 2025 15:40 Marco Bonatti
Io ho una figlia di 22 anni che recentemente (purtroppo) si è appassionata alla bici vedendo me, che sono un ciclista "puro" perché non ho nemmeno l'auto. Beh, l'idea di mandarla sulla strada tra ubriachi, drogati, esaltati, odiatori di ciclisti, disattenti, ma soprattutto gente con gli occhi più sui social che davanti a sé mi mette tanta paura. Mai avrei voluto questo. Io che mi muovo sempre e solo in bici ne vedo davvero di tutti i colori e sono pochi i giorni in cui non scampo ad un investimento grazie al fatto che sono molto, molto, molto diffidente. Vingegaard ha dannatamente ragione.

Ciclismo per i giovani...........NO!!!
1 aprile 2025 17:05 nsilvioant
Ed io a quasi 60 anni, in bici da corsa dall’età di un “allievo” ho promesso in famiglia che se dovessi diventare nonno, ancora qualche stagione, ma dopo l’impegno di appenderla al chiodo, subito, anzi nasconderla del tutto, assieme ai tanti ricordi di una vita!!!!!! Ci saranno altre discipline per diventare atleti, ma praticare ciclismo assolutamente NO!!!! Ribadisco, in queste circostanze, quando si parla di sicurezza ,nel nostro Bel Paese, ormai siamo fuori tempo massimo, praticare l’attività su strada
è diventato PERICOLOSISSIMO, una questione di vita o di morte quando si va in giro e se torno a casa, non potete immaginare quanti stratagemmi metto ripetutamente in pratica, per essere visto, gesticolo ovunque, vestito sempre con colori ad alta visibilità, ausilio di un piccolo specchietto retrovisore, ma tutto ciò, non è mai abbastanza quando
sei in mezzo ad una generazione, una società , purtroppo di tanti, per me troppi “barbari armati” al volante che non hanno un minimo di rispetto verso ciclisti e pedoni!!!Sono a favore della manifestazione di Trento per ricordare le due giovani vite spezzate
mentre esprimevano la loro voglia e libertà di divertirsi sui pedali, ma non mi stanco di ripetere, che la svolta “culturale” deve venire dall’alto, dalle istituzioni, dalla politica e quindi dallo Stato, e finchè restano assenti e disinteressati anziché tutelarci come in altri paesi, europei e non, più progrediti, civili, in materia di sicurezza stradale, da noi
purtroppo si continuerà a rischiare sempre di più la vita, con conseguenti incidenti e tributo di sangue, che non fa affatto onore ad un paese il nostro.

Nigro Silvio Antonio




Vingegaard
1 aprile 2025 19:02 GianEnri
Senza polemiche inutili tra il danese e lo sloveno, Vingegaard ha pienamente ragione. Tutti i giorni su strada è un rischio, me ne accorgo ogni giorno.
Da un anno ho scoperto la bellezza dei rulli interattivi, paesaggi incantevoli, agonismo per chi lo desidera e assenza di pericoli.

Pericolo
1 aprile 2025 19:50 Alverman
Non critico Vingegaard,ho fatto di tutto perché mio figlio non si dedicasse al ciclismo.Non gli ho comprato neppure la biciclettina da piccolo,ma purtroppo non ha deciso di correre in bicicletta??Io ho corso fino dilettante anni 70,ho perso colleghi e cari amici investiti in allenamento, già allora la strada era pericolosa.Ma adesso è diventata un inferno,gli automobilisti sono fuori di testa,buona parte guida con il Cell in mano.Quando esce in allenamento rimango sulle spine fino quando non torna.Ogni ambulanza che sento mi viene il batticuore,no,non si può andare avanti in questo modo.

Vingegaard
1 aprile 2025 21:43 Buzz66
Polemiche ridicole a parte (ripeto che siete SEMPRE voi lettori a tirar fuori l’ossessione Pogacar, non chi scrive..), io sono perfettamente d’accordo con Vingegaard.
Probabilmente non proibirei ad un figlio di praticare questo sport bellissimo, ma non mi sento di biasimarlo…

Senza uscita
2 aprile 2025 00:45 lupin3
Mi da troppa tristezza constatare che purtroppo abbiamo perso. Il ciclismo su strada almeno in Italia é finito. Lo dico con infinita tristezza, ma anche io sarei terrorizzato a mandare i figli in strada. Lá bicicletta sarà vissuta in altre declinazioni, ma in strada é finita. E mi dispiace troppo

L'importante...
2 aprile 2025 08:24 Carbonio67
..e' far passare ogni rivale di Pogacar per cattivo. Per 4 gocce d'acqua non corsero la Tre Valli varesine, additando scuse su ruote rotte. A vero, parlo' Pogacar, quindi andava bene. Vi consiglio di dire " A parte Pogacar, gli altri hanno sempre torto". Fareste prima

La bici salverà il mondo
2 aprile 2025 09:32 Bacco1966
Mio figlio ventenne si è appassionato alla bici da corsa: benedetti siano Tadej, Jonas, Mathieu, Pippo, Vincenzo e tutti i campioni che che lo hanno ispirato. Si, circolare in bicicletta è pericoloso; lo è di più passare le giornate con lo smartphone in mano. Io spero che la cultura del rispetto, per gli altri e per se stesso, che ho cercato di trasmettergli lo preservino.
Viva la bici e viva il ciclismo!

Considerazione
2 aprile 2025 12:49 italia
Per limitare gli incidenti proporrei quanto segue.
Creazione di vie ciclistiche per pratica del ciclismo agonistico.
Costituzione in giudizio per i danni arrecati a ciclisti per ottenere il risarcimento.
Richiesta danni per gli enti stradali che tengono ammaliato le strade.
Nelle scuola guida una lezione sul rispetto dei ciclisti
Nelle strade tortuose segnaletica che nella strada ci possono transitare ciclisti.

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