L'ORA DEL PASTO. GENOVA, IL CICLISMO E IL FASCINO DELLO STADIO CARLINI

NEWS | 02/10/2024 | 08:14
di Marco Pastonesi

Si torna a Genova. Sabato 5 un doppio appuntamento: alle 9 da Pontedecimo (ma il ritrovo comincia alle 8) si sale in bici alla Madonna della Guardia, e ci sarà da soffrire; alle 18.30 a Palazzo Ducale si partecipa (e chi ha qualcosa da raccontare è invitato a farlo: quattro minuti ciascuno) a “W la bici” durante il festival letterario BookPride, e ci sarà anche da sorridere. Sia a pedali sia a parole, liberamente e gratuitamente. E quando si torna a Genova, il pensiero corre, gioca, pedala al Carlini, quello che i vecchi genovesi chiamano ancora “lo stadio della Nafta”, ma anche “lo stadio Shell”, quello che i giovani rugbisti conoscono come il Bollesan, pista di ciclismo in asfalto e campo da rugby in sintetico.


Giacomo Carlini, lui. Genovese, del 1904. Ostacolista, velocista, pentatleta e decatleta. Quattordici titoli italiani assoluti, un sesto posto nella staffetta 4x400 alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1932 e un quarto ancora nella staffetta 4x400 agli Europei del 1934, la partecipazione anche alle Olimpiadi di Amsterdam nel 1928, 22 presenze nella Nazionale fra il 1926 e il 1935. E il Carlini, lo stadio. Inaugurato il 26 e 27 novembre 1927 con 15mila spettatori e gare di motociclismo, tennis, bocce, atletica e ciclismo. E il ciclismo, qui, abiterà. La rampa mozzafiato che introduce nel velodromo lancia e consacra i vincitori di tappa: da Aldo Bini a Giovanni Valetti, da Pierino Favalli a Gino Bartali, nel 1946 sarà Toni Bevilacqua, “Labròn”, a cogliere non solo la vittoria di giornata, ma a ricevere anche la maglia rosa.


Un libro del 1989, intitolato “Lo stadio Carlini nello sport genovese”, voluto dal Comune di Genova, scritto da Adriano Bet, Giorgio Cimbrico e Michele Giordano, con interventi – fra gli altri – di Riccardo Grozio e Alfredo Provenzali, donato da Giuseppe Castelnovi alla Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza, racconta personaggi e campioni che hanno frequentato questo luogo di sogni e storie. E il ciclismo ha la sua parte di gloria. Nella figura di Mino De Rossi, campione mondiale nel 1951 nell’inseguimento individuale e olimpico a Helsinki nel 1952 nell’inseguimento a squadre e poi compagno (nonché sosia: uno degli storici “coppini”) di Fausto Coppi. Nel ricordo della riunione, una sera d’estate del 1955, con Maspes e Morettini, Ranucci e Messina, lo stesso De Rossi e l’altro ligure Morselli, con Bartali, Binda, Girardengo e Guerra in tribuna d’onore. Nelle fotografie che ritraggono Vincenzo Torriani, patron del Giro d’Italia, a colloquio con Luigi Ghiglione, patron del Giro dell’Appennino, o Gino Bartali, in piedi sui pedali, in cima a quella rampa dalla pendenza quasi proibitiva, o ancora De Rossi chino sul manubrio alla fine di una prova di inseguimento.

Oggi il Carlini-Bollesan si anima più di rugbisti (quelli del Cus Genova) che non di ciclisti (stradisti sull’Aurelia o arrampicatori nell’entroterra). Potendo, chi resisterebbe alla tentazione di un giro in questo vecchio anello?

 

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