Repubblica: obiettivo credibiliità, controlli uguali per tutti

| 26/05/2008 | 15:55
MARMOLADA – Trecentotrenta chilometri di fuga in due frazioni consecutive per dominare due delle tappe regine di questo Giro: Pampeago e Marmolada. E la forza, in cima al mitico passo, per voltarsi, indicare l’ammiraglia, fare scongiuri e rassettarsi la maglia. Come se dietro alle spalle non ci fossero 153 chilometri senza un metro di pianura; di cui 64 lungo le durissime salite del mito: Pordoi, S.Pellegrino, S.Tomaso Agordino, Giau, Falzarego e Fedaia; gli ultimi 12, quelli più duri, fatti in perfetta solitudine. Emanuele Sella, il vicentino dei mille riscatti contro la malasorte, la sfortuna e le cadute è lo strabiliante dominatore del tappone dolomitico che regala la maglia rosa al grande favorito della vigilia, Alberto Contador. Uno spagnolo 15 anni dopo il mitico Indurain sul trono della corsa. Sono i due verdetti principali della Marmolada. La sfida in cima al passo Fedaia, infatti, non ha chiarito ancora chi è il vero padrone del Giro. Ma ha detto chiaramente chi non lo vincerà. Fuori i passistoni come il tedesco Kloden, fra i più pronosticati alla vigilia, e l’americano Leipheimer precipitati ieri in classifica a 6’26” e 12”25”, rispettivamente. Piegati dalla bagarre scatenata dai “Liquigas” per lanciare Pellizotti fin dalle prime balze del Giau, e finita con il simpatico “delfino di Bibione” scivolato miseramente a 2’27” dai primi nella generale. Fuori gioco. Come Savoldelli (ora a 9’17” da Contador), vittima delle accelerazioni di Nibali sul Falzarego. Mentre il piccolo Piepoli è vittima dell’ennesima caduta. Solo escoriazioni, ma e deve salire definitivamente sull’ambulanza. La battaglia fra i big c’è stata. Bella ed emozionante. Ci hanno provato, sul lungo dirizzone della Capanna Billi, nel finale, Pellizotti, Riccò, Di Luca, Simoni, Contador, perfino il quasi sconosciuto Pozzovivo (della “truppa” Reverberi), capace di “scattare in faccia” ai “big” e chiudere al secondo posto. Ma gli attacchi sono punture d’insetto. Segno che si pedala sulle forze e non c’è da scialare. La differenza la fa chi molla. Non chi attacca. E, alla fine, sono tutti lì, in un pugno di secondi. In sei: Contador, Riccò, Di Luca, Bruseghin, Menchov, Simoni nell’arco di poco meno di un minuto e mezzo. E davanti la terribile cronoscalata di Plan de Corones (12,9 km, oggi), con il temutissimo finale di 5 chilometri in sterrato e pendenze da mountain bike (oltre il 24%). In tanto equilibrio spicca la Csf Navigare, che capeggia quasi tutte le classifiche. Vanno fortissimo i ragazzi di Reverberi. Tutti: “Al Giro abbiamo sempre fatto bene e poi i miei sono tutti scalatori – spiega l’esperto ds emiliano – Queste sono le nostre tappe”. E non c’è motivo per non dargli ragione. Ma, anche per tirar via i dubbi che aleggiano nel plotone, non guasterebbe che gli organizzatori del Giro pesassero meglio i criteri di selezione. Le squadre Professional (ovvero la serie B del ciclismo, di cui fa parte la Csf di Reverberi) non hanno subito quasi nessun controllo del nuovo passaporto biologico. Reverberi ammette perfino di non aver pagato ancora la quota che spetta alle società. Per un contenzioso sul contratto. Sarà solo una coincidenza, ovviamente, ma c’è da riflettere se su 15 tappe, 6 si sono concluse con una fuga andata in porto e vittorie di formazioni “Professional” e non “Pro Tour”, obbligate, quest’ultime, alla “revisione” del passaporto. Tolte le 5 volate (tre di Bennati e due di Cavendish) e la cronosquadre di Palermo, la percentuale sale veritiginosamente. Se l’obbiettivo è la credibilità, le condizioni devono essere uguali per tutti. da Repubblica del 26 maggio a firma di Eugenio Capodacqua
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