
Entrando, la terza in basso a destra. Non si può sbagliare. Meo è lì. Meo: Romeo Venturelli. A Sassostorno di Lama Mocogno, nel Frignano, nel Modenese. Meo è lì. Nel cimitero.
Togliamoci dalla testa che i cimiteri siano luoghi tristi. Sono giardini, parchi, campi, perdipiù santi. Sono oasi, isole, atolli, perdipiù fantastici. Sono zone a traffico limitato, limitatissimo, quasi nullo. Sono il regno della memoria, dove si osserva soprattutto il silenzio, dove si ascolta soprattutto il cuore, dove si sente, soprattutto il sentimento.
I cimiteri accolgono, ospitano, ricevono. A loro modo, hanno un check in, raramente un check out, la sistemazione è a tempo indeterminato, in una sorta di eterno surplace. E le visite sono sempre aperte: impossibile che qualcuno dei residenti non si faccia trovare.
Sono andato a trovare Meo la scorsa estate, approfittando di un invito a raccontare la sua storia in un incontro organizzato dall’amministrazione comunale a Lama Mocogno. Entrando, la terza in basso a destra: Meo è lì. Accanto ai suoi genitori. Fra i suoi parenti. In mezzo alla sua gente. Dentro la sua terra.
Non è in un luogo triste, ma privilegiato. La natura, gagliarda. L’aria, profumata. In alto il cielo, lungo e largo, profondo. In basso i vasi, i fiori, i colori. Sulla tomba sono stati incisi, sotto al nome (Romeo) e al cognome (Venturelli), e sotto l’anno di nascita (1938) e di morte (2011), non lauree di studio (non ne aveva) né onoreficenze (non aveva neanche quelle), ma due titoli sportivi (il primo: azzurro d’Italia; il secondo: maglia rosa al Giro d’Italia 1960). Azzurro e rosa: altri due colori, come altri fiori, come fiori all’occhiello.
Meo era speciale, ma il suo ultimo domicilio conosciuto, questo, è molto normale: semplice, pulito, tranquillo. E togliamoci dalla testa che sia un luogo triste. Se non altro perché lì c’è lui, e lui aveva il dono della leggerezza e della spensieratezza. Meo, a ricordarlo, a rammentarlo, a narrarlo, regala ancora allegria.