Vandenbroucke si racconta. E stupisce ancora...

| 19/04/2008 | 16:11
Sospeso daalla sua squadra, la Mitsubishi Jartazi, in attesa che venga fatta luce su un suo presunto coinvolgimento in un giro di cocaina e soprattutto di vederlo tornare alle corse, Frank Vandenbroucke si consola con l'uscita in libreria della sua autobiografia dal titolo «Io non sono Dio». È il racconto del crollo di un uomo, dal paradiso dei trionfi del grande ciclismo alla discesa agli inferi della droga. Il corridore belga piu' volte sull'orlo del suicidio parla della sua esperienza di droga, svelando come avesse poco a che fare col il doping. Tutto comincio', racconta Vandenbroucke, quando a fine '98 approdo' alla francese Cofidis: una sera, il compagno di squadra Philippe Gaumont gli propone un 'trip' fatto da una pillola di Stilnoct, un sonnifero, accoppiato all'alcol: l'effetto e' fortemente allucinogeno. «E' in questo preciso momento che e' cominciato tutto: quando ho detto quel si' - spiega Vandenbroucke - Da allora molto velocemente quell'esperienza e' diventata una routine». Fu sempre Gaumont, racconta ancora il corridore nelle 342 pagine del suo libro scritto in olandese - a presentargli Bernard Sainz, alias Docteur Mabuse, condannato di recente a 18 mesi di prigione per doping: «I suoi metodi erano davvero bizzarri - racconta Vandenbroucke - Dovevo digiunare alla vigilia di una crono o dormire nudo con una sciarpa al collo. Eppure lo seguivo». Il corridore confessa di aver preso di tutto, anche via iniezione: anfetamine, Stilnoct, Valium. «Diventai un folle, vedevo cose e persone che non esistevano». L'esempio, quei poliziotti che stazionavano a gruppi davanti alla porta di casa, ma che «mia moglie Sara non riusciva a vedere». Fu la separazione dalla sua compagna italiana e dalla figlia, nel 2005, a portarlo al primo tentativo di suicidio: «Presi la bottiglia di vino piu' cara della mia cantina, un Chateau Petrus '61, e ci misi insieme dell'insulina: avevo chiesto a un medico, doveva bastare. Scrissi una lettera d'addio: chiedevo di non rovinare il mio corpo con l'autopsia, spiegavo io cosa avevo fatto...». Tentativo fallito, ma reiterato senza successo nel giugno scorso. Oggi, conclude Vandenbroucke, «sto meglio, anche se non posso dire di esserne uscito». Abbandonato il mondo delle corse professionistiche, si dedica alla figlia che le era stata tolta, e a 33 anni e' convinto di «essere ancora giovane e di poter guardare avanti».
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