| 16/04/2008 | 16:22 L’assoluzione di Danilo Di Luca da parte del GUI per la vicenda dei controlli svolti dal CONI dopo la tappa dello Zoncolan durante il Giro 2007 rende giustizia a Danilo Di Luca e conferma quanto affermato, a più riprese, da Liquigas Sport. E’ stato provato che quel giorno non accadde nulla di “proibito” ma è indubbio che, in tutti questi mesi, sia il corridore sia il gruppo sportivo abbiano subìto ingenti danni d’immagine a seguito del procedimento frettolosamente aperto dalla procura antidoping del CONI.
Per mesi è valsa la presunzione di colpevolezza piuttosto che la presunzione d’innocenza, e ciò rende necessario ridiscutere i rapporti tra le squadre e le altre componenti del ciclismo. I fatti impongono di rimettere in discussione la validità di strumenti quali lo stesso codice etico, pensato in una stagione superata ed entro la cornice di un “Pro Tour” che ha perso ormai i suoi connotati originari.
Si pone dunque l’esigenza di una profonda riflessione: il codice etico non da più garanzie, anche in considerazione delle lampanti incoerenze normative e procedurali esistenti tra le varie nazioni in tema di antidoping. E’ inammissibile che UCI, federazioni nazionali ed organizzatori – peraltro spesso in piena contraddizione fra loro – continuino a lasciare ai gruppi sportivi il ruolo di arbitri di se stessi. Ciò, a maggior ragione, alla luce dell’acceso confronto in corso tra gli stessi team. D’altro canto, la circostanza che vede l’UCI trarre dalle squadre e dai corridori considerevoli risorse economiche per la lotta al doping, sembra rafforzare il ruolo istituzionale “super partes” che appartiene fisiologicamente alla federazione internazionale. Nell’auspicio che l’UCI e gli altri organi competenti, in primis la WADA, esercitino sino in fondo le proprie prerogative, Liquigas Sport si accinge a fare un passo indietro nel sostegno ad un codice etico che non ritiene più rispondente alle esigenze attuali.
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