Sosteneva: “Penso ancora che il ciclismo non possa essere raccontato secondo un metro soltanto tecnico; forse, azzardo, perché non è propriamente uno sport! I più adatti a scriverne e a parlarne, fateci caso, sono coloro che sanno meglio immaginarlo”.
Raccontava: “Un giorno, a Montpellier, Breviglieri prese il telefono e attaccò: ‘Chi è mai questo fanciullo bruno, venuto tutto solo al traguardo?’. Lo stenografo del ‘Corriere della sera’ protestò: ‘E lo chiedi a me? Si può sapere chi ha vinto?’. Breviglieri, paziente, riprese a dettare (il pezzo era di Orio Vergani, ma Breviglieri era l’unico a interpretarne “la grafia tutta scatti, uncini, nodi, zampine”, ndr): ‘Chi è mai questo fanciullo bruno...’. A quei tempi chi scriveva di sport poteva restare nel vago: anzi, quelle prose ricevevano la loro qualità narrativa proprio dalla grazia dell’imprecisione”.
Spiegava: “Il ciclismo è stato il mito della fatica leggendaria e gratuita. Raccontare quell’epica, ancora innocente, povera, disadorna, fu un modo per narrare un Paese che usciva dalla guerra. La gente si riconosceva nei suoi eroi: capitani e gregari. E questi ultimi sprigionavano un’energia che rasentava il mistico”.
Sergio Zavoli: i Mondiali di ciclismo cominciano con un omaggio a un maestro di giornalismo, anche sportivo, anche ciclistico, con un incontro a Imola, al Teatro Ebe Stignani, via Verdi 1, domani alle 21, “Il racconto del ciclismo, da Sergio Zavoli ai giorni nostri” (ingresso libero, prenotazione obbligatoria, fino all’esaurimento dei 200 posti). Perché il ciclismo è ancora lo sport più letterario, quello che oggi in tv richiede tre voci - cronista, tecnico e scrittore - più quelle degli inviati alla partenza, all’arrivo e in corsa. Ma com’è cambiata la narrazione, dalla carta alla radio, dalla tv ai telefoni, dai “fogliettoni” ai “tweet”, dagli inviati speciali al copia-e-incolla?
Zavoli inventò il “Processo alla tappa”, trasformò i corridori in attori del vero, del reale, dell’autentico, e regalò loro la parola. Mi disse: “Mai sentito dire ‘sono contento di essere arrivato uno’. Invece i corridori sono straordinari affabulatori. C’è da capirlo: dribbling e tunnel sono episodi fulminanti, al massimo meritano un racconto; ma tappe di cinque o sei ore, con salite che ti spogliano anche dell’anima e discese in cui le schegge delle rocce ti strappano la maglia, sono come romanzi”. Aggiunse: “Il ciclismo è così ricco che sarebbe bellissima anche una tappa inventata”. E chiosò: “Per Orio Vergani il fatto era sovrano, ma il resto era un grande omaggio all’invenzione, cioè letteratura e poesia”.
Di Zavoli e di giornalismo, di ciclismo e di Mondiali parleranno il presidente della Federciclo Renato di Rocco, il c.t. della nazionale italiana Davide Cassani, i campioni del mondo Vittorio Adorni (in collegamento) e Francesco Moser e il giornalista e scrittore Beppe Conti. Previsti tre estratti da una lunga intervista a Zavoli su ciclismo e giornalismo. A me il compito di porre le domande giuste.
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