L'ORA DEL PASTO. QUELL'UOMO IN BICI, ERA IL RENZO

STORIA | 23/12/2019 | 07:42
di Marco Pastonesi

Un cielo bianco, immobile, invernale. Le montagne, le più alte innevate, che incombono, che proteggono, che custodiscono. Una strada, sterrata, che sale. Le case, di pietra, che respirano. Uomini, donne, bambine, bambini, una trentina, compresi i più lontani, che guardano – tutti – il fotografo. Anche un gallo, anche una gallina. In mezzo, un uomo, in giacca, cravatta e cappello, in bicicletta.


Una cartolina del 1910-1913: “Strada d’accesso ai Grotti di Prata Comportaccio”. E’ quella che adesso si chiama Via Roma, in quella che adesso si chiama Prata Camportaccio, Val Chiavenna, provincia di Sondrio, Lombardia. Una Lombardia che sa già, dipende dal vento, di Spluga, di Maloja, di Svizzera. Che sa anche, dipende dagli anni, di Giro d’Italia. Qui, proprio al confine tra Chiavenna e Prata Camportaccia (il traguardo ufficialmente fu Chiavenna, ma geograficamente – mappe alla mano – avrebbe dovuto essere Prata Camportaccio), Edvald Boasson Hagen conquistò la settima tappa del Giro d’Italia del 2009. Sotto il diluvio, per gli italiani. Sotto una pioggerellina, per il norvegese. Però, centodieci anni fa circa, quell’uomo in bicicletta era Mario Del Grosso e quella bicicletta da uomo era una Maino da corsa.


Mario, ma tutti lo chiamavano Renzo. Del 1893, come Costante Girardengo e il Genoa. Suo padre, Lorenzo, era carrettiere, oste, perfino editore di cartoline. Sua madre, Margherita, scodellò altre figlie. Studi tecnici, inclinazioni artistiche, Mario trovò lavoro da contabile in un’impresa di costruzioni stradali e ferroviarie. Quindi il servizio militare, con tanto di congedo illimitato. Se non che fu richiamato. Prima guerra mondiale. Settantatreesimo reggimento di fanteria, seconda categoria, undicesima squadra.

Guido Pasini e Guido Scaramellini hanno resuscitato “Il tenente Mario Del Grosso” (Museo della Valchiavenna, 240 pagine, nessuna indicazione di prezzo) attraverso fotografie e bollettini, lettere e cartoline. Dalla sua passione per la bicicletta e il ciclismo alla sua vita fra caserme e baracche, trincee e linee, proiettili e bombe. Un ritratto intimo, genuino, illuminante. “Ognuno si provvide di tavoli, sedie ed utensili di cucina. Io ‘caso’ andai proprio nella casa del prete, e m’arrangiai d’una bella poltroncina. Chissà se ci fosse stato lui e Perpetua?” (15 agosto 1915). “Nella giornata d’ieri dopo aver consegnato le misure dei lavori eseguiti sia di trincea (m 15) che di galleria (m 68) di camminamenti (m 113) preparai il mio reparto per la marcia che iniziai alle ore 16,30” (13 giugno 1916). “Amatissimi. Tempo pessimo. Umore idem. Occupatissimo” (26 ottobre 1916). “La salute m’accompagna. L’appetito aumenta e s’avvicina la desiderata licenza. Abbiate pazienza” (2 novembre 1916). “Ora mi hanno consegnato il sacco a pelo, ed almeno la notte riposo” (23 novembre 1916). “Da diversi giorni gli uomini miei, messi ad approfondire un camminamento d’accesso alla linea, scavano delle ossa anche italiane. Immaginate la carneficina che sarà stata. Su una lunghezza di tre metri si disseppellirono più di 11 sacchetti d’ossa” (8 dicembre 1916). “Tempo afosissimo. Oggi niente istruzioni. Si è in attesa di portarci verso la trincea. Sto benissimo. I miei fanti pure. L’umore è mediocre. Attendo lettera promessami” (12 maggio 1917).

Qua e là traspare la nostalgia per la bici. “In questi giorni si tenta un’altra avanzata sul Carso. Rincrescemi molto che non possiate inviarmi ciò che vi chiesi. Fate il favore di spedirmi la maglia da ciclista che mi resta comoda, in più un paio di calze. Grazie” (15 agosto 1915). “Fin’ora non so se abbiamo contrattaccato l’avversario od attaccato noi. Qui la notte passò lavorando. Stamane però incominciano loro rompendo le scatole al povero fante. Oggi è passato il colonnello in bici, è un pochino affannato. Io rido!” (14 novembre 1916).

Morì sul Monte Kuk, il tenente Del Grosso, “in seguito ferita d’arma da fuoco ala regione sottoclavicolare sinistra penetrante (per fatto di guerra) sepolto a Plava riva sinistra Isonzo…”. Era il 17 maggio 1917. Aveva 24 anni. Ne dimostrava 10, forse 20 di più.

 

 

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