
“Gregario alla tua ruota ho attraversato / paesi di un’infanzia avventurosa / stregato dalla scia biancoceleste / che scavalcava le vette e i dirupi”.
Lino Cascioli era un giornalista sportivo. Scriveva per “Il Messaggero”. Di calcio – Roma e Nazionale, soprattutto – e Formula 1. E scriveva anche di Roma, intesa come storia e cultura e lingua romana. E poi dirigeva una piccola casa editrice, Il Parnaso.
“Poi un giorno lo strillone a Piazza Termini / ti gridò morto e discesi per sempre / dalla ruota dei sogni. Non ci fu / poeta dalla voce così semplice / e così netta come quei tuoi lampi / di vigore tra i sassi dei tornanti”.
Nel 1991 Cascioli pubblicò per Il Parnaso un libriccino introvabile se non sulle bancarelle (formato tascabilissimo, 136 pagine, 15mila lire, il ricavato devoluto all’Associazione medaglie d’oro al valore atletico) intitolato “La tristezza di vincere”. Poesie in prosa, o forse prosa poetica.
“C’era nella tua forza il fuoco freddo / che brilla nella chiara trasparenza / dei cristalli. E c’era un’attrazione / per gli orizzonti della solitudine / in quel sottrarti timido alle folle / infette di passione”.
Cascioli scrive di Maradona e Platini, di Scirea e Falcao, scrive di McEnroe e Ray Sugar Robinson, scrive del museo delle auto e del Colle Oppio, di Olimpia e De Coubertin, dei blocchi e del podio. E, come in questi versi, scrive di Fausto Coppi.
“Ed eri figlio / dell’aria, pel profilo tuo da uccello / che precede lo stormo, dentro il vento / turbinoso del miti, dentro un sogno / luminoso ed eterno come il cielo”.
Coppi fu una folgorazione infinita, e la folgorazione ritorna in questi giorni di celebrazioni coppiane. Tant’è vero che ritorna anche quando Cascioli si dedica al giornalista Bruno Roghi (“L’ombra adunca di Coppi…”) e si occupa dello sport a Parigi (“Poi fu la maglia gialla di Bartali e Coppi…”). Eppure, pur dovendosi occupare sempre dei vincenti, dunque di Coppi, alla fine Cascioli si lasciò affascinare dal “profumo dei vinti”. Così: “Dicono i saggi che la volontà / può compiere miracoli: ci aiuta / a sgretolare il tempo e le distanze. / E il soffrire ci rende più leggeri…”. Fino a confessare: “Ma a sedurmi sono ormai solo le imprese mancate”.