Pantani senza pace

| 14/02/2008 | 00:00
Sono già passati quattro anni da quella ge­lida sera di febbraio, quando la notizia arrivò improvvisa provocando un dolore intenso e simile a un forte schiaffo. Era morto Panta­ni, il Pirata, l’eroe moderno delle montagne che fece sognare e riavvicinare al ciclismo davvero tanta gente. E che forse non per ca­so scelse la sera del 14 febbraio, la sera di san Valentino per andarsene in quel tragico mo­do. RIPOSO INQUIETO. Quattro anni che non c’è più e che purtroppo, il dolce e fragile Mar­co, non riesce a riposare in pace. E dire che lo meriterebbe, che gli spetterebbe di diritto, per tutto quel che vissuto, per le sue debolezze, gli errori commessi e che in troppi gli hanno la­sciato commettere. Nel cimitero di Cesenati­co, battuto dal vento che vien dal mare, i ge­nitori hanno fatto costruire una tomba di pie­tra suggestiva e splendida come una monta­gna, meta di pellegrinaggio costante da par­te della gente. Ogni giorno dell’anno, d’estate e d’inverno. Ma lui purtroppo, fra fiori e poe­sie, frasi d’amore e ricordi non riesce proprio a trovar pace. E lo meriterebbe. SENZA RISPOSTE. Libri e documenti come quello dell’amico francese Philippe Brunel in­dagano sulla sua tragica morte per overdose nel residence di Rimini fra ipotesi e conget­ture assortite. Mamma Tonina disperata e stravolta, che non si rassegna d’aver perso il suo Marco, avrebbe voluto riaprire l’inchiesta della Procura di Rimini. Per scoprire come era morto il suo adorato figlio. Ma anche lei s’è arresa. Ipotesi e congetture suggestive e mediatiche se ne sono fatte tante, ma proprio tante. Ma niente più. QUEL GIORNO A CAMPIGLIO. Come a Campiglio, in quella livida mattinata di giu­gno, il 5 giugno ’99, quando Marco davvero cominciò a morire, quando fu costretto ad ab­bandonare un Giro d’Italia che stava domi­nando, perchè l’ematocrito del suo sangue era fuori norma, oltre la barriera di quel fatidico numero, 50. Lui la sera prima se l’era prova­to quel valore ed era di 48. Ma perchè l’aveva provato, come facevano all’epoca quasi tutti i ciclisti? Era necessario effettuare quel test in proprio, se non si assumeva quel famigerato e maledetto veleno per il sangue, l’eritropoie­tina? NESSUN COMPLOTTO. Non fateci rispon­dere a domande scontate e amare. Non ci fu nessun complotto quel giorno a Campiglio. Nessuna macchinazione contro il campione, il più forte di tutti, il più grande, l’unico dopo Coppi fra gli italiani che nella storia del ci­clismo seppero vincere nella stessa estate il Giro ed il Tour. Era accaduto l’estate prece­dente Campiglio. L’hanno aiutato in troppi nella vita Marco a commettere clamorosi er­rori. Lui ascoltava tutti in silenzio e poi deci­deva inevitabilmente di sbagliare da solo. L’ESEMPIO DI MERCKX. E dire che sa­rebbe stato sufficiente parlargli in quei gior­ni di Campiglio di un certo Merckx, il quale aveva vissuto proprio trent’anni prima le stesse disavventure. Trovando comunque la grinta e la concentrazione per andare un me­se dopo al Tour de France a prendersi mille ri­vincite dimenticando l’affronto di Savona. Era tormentato in vita il povero Marco. Era tanto forte in sella alla sua magica bicicletta quanto fragile e vulnerabile negli accadi­menti quotidiani che a volte angosciano tutti noi. Lo rivelavano i suoi silenzi e quel sorriso spesso triste anche nei giorni dei magici trionfi. UN PO’ DI PACE. E allora a partire da oggi che in tanti lo ricorderanno nella sua Cese­natico, proviamo a ripensare al Pirata più che all’uomo, alle sue straordinarie gesta, al Mor­tirolo ed all’Alpe d’Huez, ai Pirenei ed alle Al­pi, alle montagne che ha tenuto a battesimo fra l’assordante boato della gente che lo osan­nava. Era il più forte di tutti, non aveva biso­gno della chimica e della farmacologia per di­mostrarlo. Ha commesso tanti errori nella vi­ta. In troppi l’hanno aiutato a sbagliare ap­profittando delle sue debolezze. Ma da oggi proviamo a lasciarlo riposare finalmente in pace. da «Tuttosport» del 14 febbraio 2008 a firma Beppe Conti
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