Museo del Ghisallo: silenzio, parla Gianni Bugno

| 15/12/2007 | 00:00
Un buon numero di uditori, attenti ed in buona parte anche suoi estimatori. Gianni Bugno, al Museo del Ciclismo, sabato pomeriggio, ha offerto un altro saggio di coerenza con la sua attività agonistica attorno agli anni “novanta” parlando in modo diffuso e preciso sulla sua attività e sul tema che più ovviamente l’ha appagato dal punto di vista sportivo: i due mondiali consecutivi vinti nel ‘91 a Stoccarda e l’anno dopo a Benidorm. Quale ricorda con più partecipazione ed anche con una punta di maggior affetto? “Entrambi, perché vincere un mondiale è sempre in campo ciclistico una nota molto prestigiosa che porta al distinguo al giorno dopo. Quella maglia coi colori dell’iride ovviamente – ha precisato - fa anche tanto effetto”. E la differenza fra quelli d’ieri e quelli di oggi? “E’ leggermente diversa, ma anche il ciclismo di oggi è diverso; allora si disputavano un mese la conclusione del Tour de France e se uscivi bene da quello c’era già la condizione di forma ideale. Oggi vero che c’è la Vuelta, però si organizzano meglio le squadre, le tattiche una preparazione ad hoc, mirata per questo evento. E’ sempre un mondiale anche quello di oggi però par quasi sia di più e meglio una Classicissima anche se rimane sempre una corsa che assegna una maglia iridata. I ricordi? Faccio fatica a trovarli perché sono rimaste due gare in cui non occorreva, come mi è riuscito, emozionarsi e spendere tutto nel momento giusto, nel punto giusto. Più difficile poi fare la squadra allora perché c’erano atleti di valore e con differenti caratteristiche, ma sempre di ottimo spessore come Moser, Argentin, Fondriest, Chiappucci. Oggi Bettini nelle corse di un giorno ritengo sia superiore agli altri e le scelte si fanno quasi obbligate in giusta funzione sua come deve essere”. Un ciclismo diverso. “Noi iniziavamo all’inizio di stagione e si tirava diritto sino al termine che avveniva a metà ottobre disputando anche 120-130 corse, oggi la programmazione ha spostato a periodi più intensi, ma anche mirati, decisamente su 50-60 corse, e valutando le caratteristiche di ognuo c’è chi disputa le corse a tappe e chi invece privilegia, avendone migliori doti, le classiche di un giorno”. Bettini? “Rimane il corridore numero uno (ha lasciato intendere Bugno) del nostro ciclismo e genera anche un luccichio agli occhi vederlo come sa dosare le forze e come sa evidenziare le sue doti sulla distanza. Veramente bravo e irripetibile un atleta che vince le Olimpiadi e due mondiali consecutivi”. Le sensazioni che si provano a vincere queste gare. “Sono uniche e ti accorgi quando taglia la linea d’arrivo”. Quel giro d’Italia indossando la maglia rosa dalla prima (di Bari) all’ultima di Milano (nel ’90). “Ero partito per fare bene e vinta la prima tappa ho continuato a credere nelle mie capacità indossandola fino al termine, senza grandi difficoltà, ma convinto in quello che stavo facendo”. Che ricordi hai del Giro della Provincia di Como vinto da allievo? “So che al vincitore va la maglia bianca. E’ bello perché mia madre ha conservato una foto che è ancora appesa in casa”. Le sensazioni provate pilotando un elicottero. “La stessa di quando sono salito in bici,a 14 anni, per la prima corsa”. La prima regola che hai messo in atto. “Fare una vita consona e da atleta legando al massimo col riposo, l’allenamento, alle fatiche che si dovevano sostenere. Non si può improvvisare. Devi essere preparato al meglio e se non si rispettano questi punti non puoi né diventare né essere un vero corridore”. Da un atleta che si è imposto in 175 gare nei tredici anni di attività, come professionista, suona a giusto invito per tanti giovani ad essere corenti”. Una cosa che non hai amato od apprezzato. “La pioggia durante gli allenamenti e la corsa; perché il ciclismo è un pedalare trionfale con il sole, la luce e la natura”. Giulio Mauri
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