La provocazione: Appello a Zomegnan

| 27/11/2007 | 00:00
Andiamo in letargo portandoci dietro l’assillante domanda: come, da dove può ripartire il ciclismo? Io non so rispondere, ma so benissimo una cosa che viene ancora prima di qualunque risposta: il ciclismo non può andare da nessuna parte fino a quando non spazzerà via in modo limpido e deciso l’insostenibile ingiustizia che si chiama Spagna. Il riferimento è chiaramente all’Opercion Puerto, che nemmeno voglio riassumere, perché a questo punto soltanto un ebete o un marziano possono dire di ignorare. Ecco, questo tsunami capace di devastare il già traballante villaggio della bicicletta ha risparmiato casualmente il Paese che l’ha generato e che l’ha alimentato, con una massiccia partecipazione di volti noti. Sappiamo bene com’è andata: mentre il resto d’Europa ghigliottinava il movimento, ciascuno nei modi e nei tempi di casa sua, l’ineffabile nazione iberica proseguiva imperterrita come se niente fosse. La scusa? Vaga e kafkiana: siccome la giustizia ordinaria non s’era occupata della parte sportiva, la parte sportiva non poteva a sua volta indagare in chiave sportiva. Più o meno, una cosa del genere. A me ricorda molto un libro bellissimo, “Comma 22”: in questa storia sui piloti americani di stanza in Italia durante la seconda guerra mondiale, brilla la paradossale assurdità dei regolamenti e dei “Comma” (ovviamente, il più delirante è il 22) che impediscono ai piloti stessi di tornare a casa. Uguale: la Spagna ha un Comma 22 che le impedisce di fare pulizia in casa sua. I timidi tentativi dell’Uci, dopo un’iniziale pigrizia, di imporre a un Paese aderente di procedere sono finiti in modo deprimente. A coronamento dell’iniziativa, si è assistito allo show di Valverde e del suo diesse Echavarri, che non hanno esitato a definire impediti e incapaci i dirigenti mondiali. Vogliono chiaramente stravincere. Questa la prospettiva: si ricomincerà nel 2008 con tanti Paesi mutilati che vanno ad affrontare una Spagna uscita totalmente incolume dalla catastrofe. Non è sport. Non è giusto. Non è accettabile. Sarebbe come se gli spagnoli arrivassero ai Mondiali di calcio e pretendessero di giocare in quindici. Via, nessuno li accetterebbe. Così allora chiedo: perché dovrammo accettare di gareggiare nelle corse ciclistiche, quando permane questa immane disparità? Arrivo al dunque (qualcuno lo ricorderà, non mi piace far volare solo gli stracci: cerco sempre di allegare anche una proposta concreta). Ho un appello accorato da rivolgere personalmente ad Angelo Zomegnan, patron del nuovo Giro. Caro Angelo, scusami se ti sottopongo un’ulteriore grana, ma so benissimo che hai la cotenna per sopportare anche questa. Non la faccio lunga. Partendo dal presupposto che giustamente sei uscito dal Pro Tour, liberandoti dall’obbligo di far correre le squadre del circuito, perché non ne approfitti per lanciare al mondo un grande segnale di giustizia sostanziale? Avrai già capito la mia idea: visto che in casa tua sei libero di invitare chi vuoi, invita tutti tranne gli spagnoli. Non importa se lo fai solo tu: vorrà dire che almeno per una volta gli italiani brillano per coraggio, rigore, fermezza. E alto senso della giustizia. Qui, al Giro, corrono tutte le nazioni che a fatica, con tante sbandate, senza ancora aver terminato il lavoro, hanno comunque affrontato la piaga del doping, rimettendoci fior di campioni e ovviamente tante vittorie, tanta popolarità, tanti denari. Diciamo chiaro e tondo che alla gloriosa corsa rosa parte solo chi ha certi requisiti minimi, cioè i Paesi che non hanno orinato in testa a tutti gli altri, beffandosi con arroganza e strafottenza dei bagni di sangue (sic) altrui. La Spagna ci ride in faccia, se ne impippa dei richiami Uci, addirittura si vanta di non aver mosso dito e anzi minaccia querele contro chi osi dubitare? Benissimo. Liberissima. Però qui non viene. Ne facciamo a meno, dei loro fenomeni. Sopravviveremo anche senza i Valverde e senza gli amici di Birillo (a proposito: tutti sappiamo chi è, ma nessuno di noi può scriverlo perché ci porterebbe via la casa, forte della sua pulizia formale). Fino a quando cancelliamo la Spagna dalla cartina d’Europa? Fino a quando, lo decide la Spagna. Fino a quando si deciderà a fare come gli altri, cioè a scoperchiare il fetido pentolone e a guardarci dentro per davvero. Caro Angelo, si può fare? Ti conosco abbastanza muscolare e anticonformista, per pensare che tu tema impopolarità e reazioni. So che se una cosa ti convince, non ti ferma nessuno. Spero che questa ti convinca. Sarebbe veramente un grande gesto. Credo che tutti, ovviamente con l’eccezione degli spagnoli, che su queste cose faticano, capirebbero. E tutto sommato credo anche che il nostro - ops: il tuo - Giro ne guadagnerebbe in prestigio. Se puoi, fammi sapere. P.S.: ovviamente ho pensato che pure le squadre di mezza Europa potrebbero rifiutarsi di gareggiare in Spagna, di ingaggiare corridori spagnoli, di correre dove sono iscritti spagnoli. Ma sulla schiena ritta delle squadre ho perso qualunque speranza. Sono tutte bravissime a imporre pulizia in casa d’altri. Quando tocca in casa propria, sono ridicoli. Gente così non ha il fisico per combattere una battaglia etica. Al massimo può scribacchiare un codice etico, testo comico dell’anno. di Cristiano Gatti da tuttoBICI, numero di novembre 2007
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