Giuseppe Saronni: «Questo Pro Tour non ha più senso»

| 17/11/2007 | 00:00
«Certe considerazioni Adorni forse le avrebbe dovute fare prima. Dopo tre anni di Pro Tour ci arriviamo? Solo oggi capiamo che per le squadre di Pro Tour è una grande fregatura? Abbiamo acquistato qualcosa che non c’è. Una scatola vuota e non so nemmeno se confezionata bene. Comunque le parole di Adorni sono sacrosante. Il vero calendario d’élite è quello dei grandi organizzatori. Sono 105 giorni di gare con tutte le corse più importanti al mondo». Giuseppe Saronni, team manager della Lampre, è arrabbiato. La situazione che sta attraversando il ciclismo non gli va proprio giù. Il presidente McQuaid ieri ha però aggiunto: «Il ciclismo moderno deve andare verso la globalizzazione… Questo sport deve modernizzarsi, non restare ancora relegato nei confini dell’Europa. «Non mi pare che il problema si risolva solo andando a investire in Paesi che possono rappresentare, forse, il futuro. All’oggi, chi ci pensa? Poi bisogna anche vedere se ha senso andare af are certe cose. Per esempio, se ho un corridore che può fare bene e vincere nelle classiche di inizio stagione non lo mando al Tour Down Under. Quella australiana è una corsa che rispetto, ma che male si concilia con gli impegni primari in Europa. Se alle corse non ci sono i corridori migliori, siamo punto e a capo perché un altro punto cardine del progetto Pro Tour era quello di mettere sempre a confronti i grandi». Di fatto alle squadre è stato tolto il punto a cui forse tenevate maggiormente, cioè il diritto-dovere di partecipare alle grandi corse. «Verissimo. Gli organizzatori hanno ribadito che la licenza non serva ma che conta solo il loro invito. A questo punto che senso ha fare quegli enormi sacrifici, finanziari ma non solo, che il ProTour richiede?». Visto dall’altra parte, qualcuno potrebbe pensare che le squadre si siano in realtà rafforzate nei confronti degli organizzatori: o ci date “ics” soldi o non veniamo alla corsa… «Non funziona quasi mai così. E’ molto più facile che gli organizzatori dicano: “O ci porti quel corridore o non ti invitiamo”». A questo punto come si può risolvere la situazione? «Moralmente non mi sento la coscienza a posto neanche nei confronti degli sponsor e mi sento preso in giro dall’Uci. Visti i costi enormi e i problemi, e che di fatto è stato stravolto il progetto originale del Pro Tour, non vorrei essere costretto a rinunciare a rendere la licenza. Tutte le squadre si lamentano, ma di fatto non si possono staccare. Ormai sono tutte con l’organico strutturato per quel tipo di attività. Anche se escono dal Pro Tour, non riescono a scaricare i contratti, quindi tanto vale. Noi abbiamo 22 corridori, ne mancano anche tre per il minimo. Fo9rse siamo gli unici che potremmo uscire. Però, per dovere verso lo sponsor e per l’immagine della squadra, confidando nella logica di chi ci governa, continuo a sperare che gli enormi problemi esistenti vengano risolti». Praticamente, che differenza ci sono tra allestire una squadra Pro Tour e una Professional, cioè di seconda fascia? «Enormi. Per fare il Pro Tour ci vogliono almeno 9 corridori in più, 3 medici, 3 direttori sportivi, 4 meccanici, 4 massaggiatori, 2 autisti. I giorni di corsa salgono da 150-160 a 250-260. Poi cambiano i costi di affiliazione e noi finanziamo in gran parte il progetto “100% contro il doping”. Facendo le somme possiamo dire che un team Professional di primo livello costa 2,5-3 milioni di euro l’anno. Per una buona squadra Pro Tour ne servono almeno 7-8. In cambio di che cosa?». da «La Gazzetta dello Sport» del 17 novembre 2007 a firma Claudio Ghisalberti
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