| 04/09/2007 | 00:00 Oggi, trenta anni fa, la prima volta che il ciclismo dell'iride sbarcava in Sudamerica, Francesco Moser vinse il suo primo (ed unico) Mondiale.
A San Cristobal, Venezuela, in una giornata tormentata dalla pioggia tropicale, Francesco Moser, 26 anni, secondo l'anno prima ad Ostuni, battuto allora da Fredddy Maertens, esaltò in una stessa occasione le sue virtù ancora poco note di atleta di fondo e di campione di intelligenza. In quel Mondiale, che segnò fra l'altro il record irraggiungibile di Raymond Poulidor - 18 Mondiali consecutivi....- Moser riuscì ad andare in fuga, con il contributo di Franco Bitossi che seppe brillantemente controllare gli inseguitori, a due tornate
dalla fine, con il solo Dietrich Thurau, un giovane tedesco rampante.
Più forte di lui certamente in volata, ed anche lievemente più esperto, Moser vinse di fatto il 'Mundial' già a qualche chilometro dall'arrivo. Quando, difatti, forò la gomma posteriore, ma riuscì a bluffare abilmente con Thurau, senza cedere il passo, e non consentendogli così di comprendere la difficoltà tecnica e di attaccarlo a sua volta.
Moser potè cambiare la bicicletta a volo, senza colpo subire, in quella stagione che non conosceva ancora gli auricolari, grazie all' intuito tutto toscano del Direttore Tecnico azzurro Alfredo Martini ed alla alacrità del meccanico Piazzalunga, ed ebbe poi facilmente ragione di Thurau nello sprint finale. Ma in verità, quel titolo mondiale, Moser se lo era già ampiamente meritato, con il cuore in gola, quando Thurau se lo era tenuto a ruota, facendo finta di niente, pure con la fatica improba - da montanaro di Palù di Giovo - di pedalare con una gomma a terra.
Gian Paolo PORRECA
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