Di Rocco all'AdnKronos: l'Uci segue solo l'odore dei soldi

| 30/07/2007 | 00:00
«La strategia dell'Uci mira a distruggere un sistema che funziona. Lo dimostra quello che è successo al Tour de France». Renato Di Rocco, presidente della federciclismo, critica aspramente la condotta dell'Unione ciclistica internazionale. «La federazione mondiale vuole portare questo sport in Bahrein, vuole stravolgere tutto per andare a caccia di soldi. Italia, Francia e Spagna rappresentano il 70% di questo movimento: non è colpa nostra se siamo più avanti - dice Di Rocco all'ADNKRONOS -. Aiutiamo a crescere gli altri, ma non dobbiamo fermare ciò che funziona». Male l'Uci e il suo presidente Pat McQuaid, «la brutta copia dell'ex presidente Verbruggen». Bene il Tour de France, nonostante l'ormai consueta bufera doping. «È stato un grande evento - dice Di Rocco -. La partecipazione del pubblico dimostra che la gente è affezionatissima al nostro sport. Il ciclismo è sempre più radicato sul territorio e, nei momenti di difficoltà, scatta una sorta di meccanismo psicologico e sociologico: il pubblico non ci lascia, anzi». La Grande Boucle vinta dallo spagnolo Alberto Contador è stata macchiata dalle positività di Alexander Vinokourov e Cristian Moreni. «Si tende solo a vedere lo scandalo. I giornali sono critici e hanno ragione ad esserlo. Non si può ignorare, però, lo sforzo che il ciclismo sta facendo. Nel nostro sport viene colpito chi sbaglia. Non si fanno sconti nemmeno ai nomi illustri, come dimostrano le vicende degli ultimi mesi. Lo scandalo è solo un aspetto di una situazione più complessa, nella quale non può essere ignorato l'impegno di chi lavora per ottenere risultati importanti. La strada non è semplice, ma se vengono squalificati i migliori significa che nessuno mette la testa sotto la sabbia». I casi di doping, soprattutto se coinvolgono atleti italiani, «addolorano». L'aggettivo «mortificante», pero', Di Rocco lo riserva solo alla condotta dell'Uci. Nella strategia della federazione mondiale, si inserisce anche la gestione del caso di Michael Rasmussen, il corridore danese della Rabobank silurato dalla sua formazione durante il Tour de France. «Il regolamento parla chiaro: va fermato chi si sottrae ad un controllo antidoping 45 giorni prima di una corsa. In questa vicenda, l'atteggiamento dell'Uci è stato assurdo. Prima predica tolleranza zero, poi interpreta in maniera soggettiva una norma. Non si puo' agire in questo modo, è difficile non vedere la malafede. Cambiare il regolamento? Certo, ma bisogna sedersi a tavolino«. La Francia, scottata da 3 settimane ad alta tensione, si interroga sulla possibilità di riportare al Tour le rappresentative nazionali. «Sarebbe una scelta affascinante. In Italia ne abbiamo parlato in relazione al Giro d'Italia del centenario, ma il discorso non è stato ancora approfondito. Sarebbe una soluzione di grande impatto sul pubblico, ma andrebbe inserita in maniera adeguata nel panorama attuale. Insomma, c'è da studiare». Vicino, se non vicinissimo, l'appuntamento iridato di Stoccarda, sede dei Mondiali dal 25 a 30 settembre. «Abbiamo trionfato un anno fa con Paolo Bettini, non possiamo mica sperare di vincere sempre...», sorride Di Rocco. In Germania, l'Italbici arriverà dopo un'estate rovente. «Tra inchieste, interrogatori, udienze e sentenze quest'anno dominiamo la scena con la Formula 1», dice il presidente federale. Davanti alla giustizia sportiva si sono presentati anche Ivan Basso, Alessandro Petacchi e Danilo Di Luca. Il vincitore dell'ultimo Giro, dice Di Rocco, «mi sembra sereno, come puo' esserlo qualsiasi cittadino italiano coinvolto in un procedimento. Da un punto di vista tecnico, la giustizia procede in maniera esemplare , anche se mi sembra che, in generale, ci sia stata troppa teatralita' da parte dei protagonisti». Il presidente federale muove un appunto anche al procuratore antidoping, Ettore Torri. «È una persona preparatissima ed è un gentiluomo. Sta facendo un ottimo lavoro, ma sarebbe meglio se in alcune circostanze parlasse meno».
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