Era di poche parole. Direttore sportivo, ai suoi ricordava, raccomandava, comandava, in due parole: “Curidur, pedaler!”. Con un paio di varianti, a seconda delle circostanze: “Bastird, pedaler!” e “Romagnoli, pedaler!”.
Diego Ronchini: se ne parla sempre, a Imola. Anche l’altra sera, nella sala Ayrton Senna dell’autodronmo, per la presentazione di “I nostri prof di ciclismo” (Bacchilega editore), il libro che Nino Villa ha dedicato ai corridori imolesi diventati professionisti (e che sulla copertina porta proprio Ronchini). A ricordarlo, a Imola, c’è ancora il suo negozio di biciclette in via Tozzoli, rilevato da Fabio Patuelli. C’è un murale in centro, fra quelli riservati ad altri uomini che hanno dato lustro alla città, come Andrea Costa, il primo deputato socialista in Italia. E c’è anche una pista ciclabile, quella di via Graziadei, che costeggia il fiume Santerno (e sempre a Imola altre piste ciclabili sono intitolate a Luciano Pezzi, a Fausto Coppi e Gino Bartali, e a Antonio Placci).
E poi, quella volta che. Gigi Sarti: “Giro della provincia di Reggio Calabria 1962, una ventina in fuga, Ronchini rimasto fuori, li riprendiamo, Guido Carlesi fa un cambio all’americana con Silvano Ciampi e scappa, li riprendiamo, stavolta Ronchini lancia me con un cambio all’americana, mancano 23 chilometri all’arrivo, Guerrino Farolfi in moto mi incita, tengo duro, vinco, poi i giornalisti scrivono che Carlesi aveva il vento contrario, e io no, eppure – che strano - la strada era sempre nella stessa direzione”.
E poi, quella volta che. Michele Coppolillo: “Ronchini ci diceva che ai suoi tempi, siccome non esistevano i tachimetri e i cardiofrequenzimetri, si sentiva in forma quando faceva da Imola a Firenzuola, 50 chilometri a salire, con il 52x13 fisso. E ti credo”.
E poi, quella volta che. Fabio Patuelli: “Ronchini vuole vendere il suo negozio di biciclette, mi disse Pezzi. Era vero. Ronchini si era stancato, e poi non era a suo agio con le novità tecnologiche, per esempio il cambio sincronizzato, insomma, non gli piaceva più. Però rimanemmo d’accordo che sarebbe rimasto ancora cinque mesi in negozio per avviarmi, perché non conoscevo l’ambiente né i clienti. In quel periodo si dimostrò generoso. Era una bravissima persona, d’oro. Bisognava conoscerlo da vicino, ma non era facile. Era schivo. Veniva a ritirare i soldi dell’affitto non ogni mese, ma ogni tre. Evitava le feste e i ritrovi, non gli piaceva ascoltare i racconti dei corridori di qualsiasi livello. E non andava mai dal medico, finché un giorno, all’improvviso, ci rimase secco”.
E poi, quella volta che. Fausto Pezzi: “Una Bianchi, la 999, del 1958. La sua. L’ho trovata in un mercatino. Comprata e restaurata. Non potevo lasciarla lì”.
E poi, quella volta che. Nino Villa: “Sarai il mio biografo, mi disse”. Dai.
Marco Pastonesi
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