J come Jovanotti. Nel senso di Lorenzo Cherubini, cantante popolarissimo. E’ anche ciclista: non di quelli che dicono di esserlo, ma lo sono davvero, sia quando ‘Piove’, che quando spunta ‘Un raggio di sole’. Non è uno che frequenta rotte ordinarie, visto che ha risalito il Sud America dalla Terra del Fuoco e, di recente, ha girato da solo la Nuova Zelanda: a casa, quando dice di andare a fare un giro, temono di sentirgli dire ‘ti porto via con me’. Amante del ciclismo, amico di ciclisti, prima del Giro ha scritto un post sui social salutando la corsa rosa: nei suoi gusti sportivi, il ciclismo è ‘l’ombelico del mondo’ e questo evento ‘il più grande spettacolo dopo il big bang’. E’ una passione vecchia, che ha fin da bambino: ancora oggi, nel primo pomeriggio, davanti alla tv ripete ‘ciao mamma, guarda come mi diverto’. Non è un atleta come gli altri: è l’unico che riesce a seguire il Giro effettuando un tour, fin qui di 47 tappe. E’ anche un intenditore: tifoso di Nibali (‘Mi fido di te’), è curioso di scoprire chi vincerà questa edizione (‘Io ti cercherò’), per quanto abbia già capito che, oltre alle tappe, sarà importante digerire i lunghi trasferimenti (‘Gente della notte’). Per questa sua passione, la sera scorsa a Verona ha ricevuto dalla Castelli la maglia di Zagor, il suo fumetto preferito, che ha già promesso di utilizzare, magari su una salita: fra i vari Uomo Ragno, Hulk e Diavoli che inseguono i ciclisti, è il posto giusto.
M come Mori. Nel senso di Manuele, ciclista della Uae. Figlio d’arte, perché papà Primo è stato professionista, fratello d’arte, perché il fratello maggiore Massimiliano è stato professionista: al momento non risultano madri, sorelli, nipoti, cugini o altri parenti d’arte. A 37 anni, con un’onorevole carriera da aiutante alle spalle, vanta una vittoria soltanto, a Utsonomija, in Giappone, nel 2007: se la ricorda ancora non perché è l’unica, ma perché da quel giorno gli è caduto un mondo intero addosso. A lui, infatti, il popolo del Sol Levante ha dedicato un club, con tantissimi iscritti che lo raggiungono ovunque: ovunque corra è come entrare in una chiesa italiana, perché almeno un paio di giapponesi li trovi sempre. Lo seguono anche quando non corre: un infortunio lo ha fermato alla vigilia della Tirreno-Adriatico, ma i suoi tifosi sono arrivati lo stesso perché non c’è stato il tempo di avvertirli. Ormai il suo è un rapporto consolidato, figlio della storia: i Mori sono un’antica stirpe di samurai, a differenza dei Morimoto che, pur essendo il Giappone la sede della Yamaha, hanno preferito il calcio. Nessuna parentela nemmeno con i Kanemori, considerati una dinastia domestica. Al suo ennesimo Giro d’Italia, Mori è scortato da un paio di signore giapponesi che tutti i giorni lo salutano al pullman in partenza, lo salutano al pullman all’arrivo e naturalmente lo fotografano, sia alla partenza che all’arrivo. Tanto che al via da Osimo, un tifoso ha urlato ‘Manuele, hai un Paese che ti segue’: sentendolo, un corridore di un altro team ha replicato ‘Sai la novità, anche il mio paese mi segue'.
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