UN MERTENS DI NOME... FREDDRIES

TUTTOBICI | 29/03/2018 | 07:22
I tifosi del Napoli lo hanno ribattezzato, a buon diritto di cuore, popolarmente “Ci­ro”, Dries Mertens, il fuoriclasse calciatore belga. Ma per noi e per i cultori dello sport fiammingo, con l’atavico primato del ciclismo che gli è proprio, Mertens re­sterà più propriamente un Fred/dries Mer­tens...

Già, per la squisita analogia di fisico e carattere, di qualità tecnica e seducente appeal, che Dries Mer­tens mostra con la figura del connazionale Freddy Maertens, il grande campione ciclista degli an­ni ’70. E la singolare allitterazione del cognome, una “e” al posto del dittongo “ae”, mica un errore di stampa, ne rende più intima la con­taminazione.

E sì, Mertens, il ragazzo borghese di Lovanio, folletto delle aree di rigore, il ballerino leggiadro, in­cantatore degli stopper, se vogliamo restare nella facile nomenclatura dello sport, non può paragonarsi affatto, solo in omaggio alla sua famelica vocazione al gol, al “Can­nibale” per copyright  storico, co­me fu definito l’impareggiabile dominatore Eddy Merckx...

Giammai, Mertens non è uno scalatore, non è un passista, non è un ciclista banalmente completo, per me­tafora, ma indossa bensì quell’abito scanzonato e irrequieto, geniale e coinvolgente, uno spirito ro­man­tico libero, che aveva Freddy Maertens, il velocista di Nieuw­port, Fiandre Orientali, che come un cowboy monello fece irruzione nel ranch sacro di Merckx, con cui non ebbe mai un grande feeling, e di De Vlaeminck, di Godefroot e di Verbeeck, i draghi dell’epoca e della nazione sua. Freddy Maer­tens, un guascone predestinato, già argento da dilettante al Mon­diali del ’71, e secondo a Barcel­lo­na ’73, dietro Felice Gimondi, all’esordio da professionista, e poi capace di vincere due titoli iridati, il primo nel ’76, ad Ostuni, battendo Francesco Moser, e il secondo, quando sembrava ormai sul viale del tramonto, a Praga, nel 1981, beffando di giustezza Giu­seppe Saronni...

E il dribbling di Mertens, ubriacante, in area di rigore, è l’esecuzione ineffabile di Maertens verso un Moser ingenuo, ad Ostuni: uscire di ruota, zigzagando, con­fondere l’azzurro e via senza de­gnare l’altro di uno sguardo, verso l’oro...

Mertens e le sue prodezze, il gol alla La­zio il gol al Genoa, dov’è Rossettini?, il gol al Torino, Maertens e le sue volate inenarrabili su strade grigie, Basso Kar­stens Gavazzi Leman ai margini, come le prodezze su tappeti verdi di Fred/dries, lo chiameremo or­mai così nella nostra versione dei sentimenti, i mondi, o il mondo dello sport che è uno e non doppio né trino, ad ammirare... Tre volte maglia verde al Tour, la Vuel­ta ’77 con 13 tappe su 21, 8 frazioni al Tour del ’76, un record condiviso con Merckx e Pelissier, il primato ancora ex-aequo con Merckx delle vittorie in una stagione: ben 54, nel ’76. E 7 vittorie in quel fatale Giro d’Italia del ’77, che per Maertens stesso in maglia iridata segnò - quello che per fortuna Fred/dries ancora non ha co­nosciuto - il displuvio del dolore, con la caduta rovinosa in uno sprint al Mugello contro Rik Van Linden, e la frattura di un polso da cui solo a stento si sarebbe ripreso...

Un biondo che oggi incanta, Mertens, come incantava il biondo Maertens, campioni da tenere in pugno di batticuore, 170 centimetri di altezza e non di più ambedue. Uno spot dello champagne, per la vocazione pirotecnica del gesto, lo sprint il gol il sorriso, il paradigma dell’estasi, le bollicine minute di un Taittinger.
Già, quella consuetudine dello champagne nella borraccia che per Maertens, una vita da bohemien dopo la caduta al Mugello, un ge­nio abbracciato spesso alla sregolatezza, una vita troppo spesso in vacanza, significò una scorciatoia per il congedo atletico. Ma che im­porta oggi questa malinconia..., Maertens, classe ’52, ad Oude­naarde dove fa il custode di un Mu­seo per il Ciclismo, ha ancora venti anni. Ed è sempre in maglia rosa al Giro del 1977, sì, proprio dalle parti nostre, vicino Napoli, Campi Flegrei, a Monte di Pro­ci­da, dopo aver vinto, nuovamente su Francesco Moser e per soli tre secondi, la cronometro di apertura: Bacoli - Monte di Procida.

Una maglia rosa antica, il tempo non la sgualcisce, tantomeno la malasorte, i ricordi sono sempre giovani - noi c’eravamo, lo scirocco, domenica 20 maggio - che sembra sventolare come l’augurio fiammingo di Maertens al sogno di scudetto az­zurro di Mertens. In arte e in flash-back, ormai coniugato fra ciclismo e calcio, tutto attaccato, Freddries.

Gian Paolo Porreca, da tuttoBICI di marzo
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COMMENTI
C'è solo una piccola differenza fra i due:.....
29 marzo 2018 11:06 passion
.... Freddy (uno dei grandi del ciclismo) a 66 anni deve fare il custode al museo, Dries (Ragazzo stimabile e sensibile), difficilmente un giorno sarà costretto a fare il custode alla "Reggia di Caserta".

Passion
29 marzo 2018 18:48 gipi66
Non esserne troppo sicuro, non sono solo i guadagni folli che garantiscono una vita di rendita. Sai quanti calciatori a fine carriera sono nei panni del custode? Purtroppo per loro molti.

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