STORIA | 20/03/2018 | 07:12 Stava lì col suo sorriso a guardar passare i corridori. Berretto da sciatore, ma appoggiato sulla testa, giacca a vento in piumino, naso a spiovere, mento a salire, occhi ridotti a fessure, come se avessero già visto tanto, se non troppo, soprattutto corse e corridori.
Stava lì, Imerio Massignan, a Masone. Sabato all’uscita dall’autostrada, sopra il fiume, sotto un tendone, in un’aria che sapeva di primavera bocciata, o almeno rimandata a data da destinarsi. Sabato all’ora del risotto, quello di Gigi Belcredi, e all’ora della Milano-Sanremo, quella di Vincenzo Nibali.
Stava lì, Massignan, a respirare il ciclismo, che è fatto di facce e occhi almeno quanto è mosso da garretti e cuori, e ad abitare e presidiare la strada, che lo ha guidato, accompagnato, condotto, anche ostacolato e sempre provato a forza di pedali, anche di sogni e speranze, poi di ricordi e forse nostalgie.
Stava lì, con il suo nome ormai più unico che raro, che significa “desiderio”, o forse “proveniente da Himera” antica città siciliana, invece lui vicentino di Valmarana, e da molti anni alessandrino di Silvano d’Orba, e con il suo cognome che sembra estratto da un romanzo di moschettieri, Athos Porthos e Massignan, trattasi comunque di duelli.
Stava lì, lui detto Gambasecca, per via di un’asciuttezza e di una secchezza che era fame, non dieta, che era fatica, non allenamento, che era rivincita o vendetta a prescindere da quello che potesse essere successo prima: lui nato in un giorno - il 2 gennaio del 1937 - che sarebbe stato ricordato non per chi viene ma per chi se ne va (Fausto Coppi: il 2 gennaio del 1960), lui scalatore e ancora primatista di una scalata nel Vicentino, l’unico ad averla mai fatta senza appoggiare le mani sul manubrio, lui lo scalatore forse più forte al mondo, peccato che allora dalla cima delle salite al traguardo ci fossero sempre di mezzo le discese.
Stava lì, Imerio Massignan detto Gambasecca, a mangiare e a bere, come se fosse una comunione fra apostoli, a chiacchierare e a salutare, come se fosse il padrone di casa, a onorare e a valorizzare, dall’alto dei suoi due primi posti nella classifica finale dei gran premi della montagna al Tour de France, dall’altissimo del suo primo posto (ma poi c’era la discesa, e non fu mai abbastanza maledetta) la prima volta sul Passo del Gavia.
Massignan è una strada provinciale, è un cielo imbronciato, è una bici eroica, è una maglia di lana, è un bicchiere di rosso che non si può rifiutare, è un accento veneto mai dismesso, è una tenerezza che si fa breccia, è una ballata jazz con tanto di sax tenore, è il bellissimo libro di Marco Ballestracci, ed è - con tutto il mio amore - anche queste righe e questa foto, qui.
io che ho una certa eta' Massignan me lo ricordo, come quando per onor di abbuoni fu costretto a cedere la prima posizione a Battistini in una epica tappa del Tour, quando gli abbuoni se non ricordo male erano 1 minuto e poi 30 secondi...ci rimasi più' male io che forse lui...e quanto tempo bisogno' attendere una sua vittoria, forse Super Bagneres de Bigorre ? chi se lo ricorda ?
caro Pasto,
20 marzo 2018 13:58canepari
quando sostieni che "peccato che allora dalla cima delle salite al traguardo ci fossero sempre di mezzo le discese", probabilmente non sai che Imerio era un grande discesista, specialmente sullo sterrato. Il suo PROBLEMA erano le pianure e le cronometro in pianura ( a quei tempi lunghe anche 50 e più chilometri ). Pavesi disse spesso che lo vedeva "pedalare coi gomiti". E' la definizione più esatta del suo "mal essere" in bicicletta. Per il resto hai pienamente ragione. Chi non ama Massignan non capisce niente del ciclismo e della vita.
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