Lettera aperta di Claudio Santi: no ai processi sommari

| 03/05/2007 | 00:00
Dopo sei mesi dalle mie dimissioni da vice presidente Europeo, nel caos totale dello sport che amo e frequento da bambino (in tutti i ruoli, da corridore a dirigente) vorrei provare a dare un contributo con una mia opinione: sono sempre stato convinto che il doping sia il male principale del ciclismo e ho sempre detto che va combattuto per il futuro del nostro sport senza rassegnazione, come molte eroiche persone combattono un tumore. Ma l'antidoping non deve essere un modo per fare una guerra interna senza esclusione di colpi. Tutti devono essere considerati innocenti anche se si sa che di innocenti ce ne sono pochi, sperando che ci siano i pochi. Proprio la presunzione di innocenza, condizione indispensabile per qualsiasi società civile, e una maggior crescita di una seria cultura antidoping possono migliorarci. Altrimenti prevale la furbizia, una delle peggior doti dell'uomo che possiede invece, per nostra fortuna, anche l'intelligenza e la capacità di riflettere. È necessario, a mio parere, aprire un serio e costruttivo confronto di idee e una profonda consapevolezza e collaborazione per creare un futuro che ridia la credibilità al nostro sport. Per riavere la fiducia delle famiglie che vedranno i loro figli pedalare in futuro; è la condizione indispensabile per la nostra esistenza e per il nostro orgoglio di ex ciclisti. I processi sommari, le accuse reciproche, le colpe date a uno e all'altro portano nella direzione opposta: chi si crede più furbo, cerca di farla franca scaricando le colpe su altri perché non si scoprano le sue. Ma ogni uomo ha l'obbligo della fiducia e della speranza e io credo che il presidente dell'U.C.I., l'amico Pat Mc Quaid, ex corridore e padre di corridore, abbia l'intelligenza e la sensibilità per impegnarsi a fondo e per uscire da questo lunghissimo tunnel. Cosi come non ritengo giuste le critiche che mi hanno rivolto alcuni ex dirigenti, per l'appoggio al presidente della FCI Renato Di Rocco in campo internazionale in occasione della sua candidatura all'Unione Europea del Ciclismo. L'Italia, con la sua grande storia e il suo grande movimento, deve avere la possibilità di esprimersi, la vendetta non serve a nulla e mi ha fatto piacere che il presidente mi abbia ringraziato dinnanzi alle altre federazioni. Poi ognuno rimane della sua idea. Ma ora, dai dirigenti ai corridori, a mio modesto parere serve un passo in più: il dialogo e il perdono, attraverso la consapevolezza che il doping è un tumore terribile. E una riflessione convinta ci aiuti a capire che il passato contiene errori che in futuro non ci si deve e non ci si può permettere. Ma ora basta. Continuare su questa strada rivoluzionaria «di guerra tutti contro tutti», porterebbe, nel nostro piccolo, ad una riedizione della rivoluzione Francese, tutti sotto la ghigliottina anche i più forti sostenitori che la ghigliottina sia la cosa più giusta. E il popolo, come allora, ci guarderebbe morire, applaudendo numerosi e pensando "siete i nostri idoli, ma fate schifo". Non è meglio abolire la ghigliottina e darsi una moralità e una regolata tutti insieme? Claudio Santi
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