| 28/04/2007 | 00:00 Fa il giardinire, Jesus Manzano. Vive a Zarzalejo, paesino di mezza monatgna a 70 km da Madrid. Nel 2004, dopo tre anni di doping verticale vissiuto in prima persona (autoemotrasfuzione con il medico Eufemiano Fuentes, a rischio della propria pelle), Manzano denunciò inascoltato la cupola del sistema doping spagnolo.
Sta bene, Manzano, non vive covando rancori, però sa tante cose, e gli piacerebbe raccontarle. Per l'Operacion Puerto ha collaborato con la Guardia Civil, è stato chiamato a testimoniarte dal giudice Serrano e si è costituito parte civile.
Manzano, l'archiaviazione dell'Operacion Puerto non le è andata giù.
«Con tutte le prove che hanno raccolto... La Guardia Civil ha fatto un lavoro perfetto, però tutto è stato messo a tacere con il denaro. Stanno cercando di chiudere la bocca un po' a rtutti con i soldi. Ho un cd con la registrazione di una conversazione nella quale Carlos Bueren, l'avvocato di Manolo Saiz, offre al mio legale, Santiago Lucas, 180.000 euro per convincermi a ritirare la denuncia, a lasciar perdere. L'offerta è poi scesa a 90 mila euro, che ho rifiutato. Il mio legale mi consigliava di accettare e per questo l'ho cambiato».
Lei è stato minacciato?
«No, mi hanno offerto soldi e hanno fatto pressione perché ritirassi le denunce».
Pensa che i medici Fuentes e Merino Batrse siano ancora in attività?
«Sì, secondo me tutto continua come prima. Alla fine sono liberi, senza accuse, non è successo niente. E' un amico ciclista mi ha detto che c'è un'altra centrale del doping che ancora non è stata scoperta, dalle parti di Valencia, dove operano altri medici».
Come ci si dopa senza farsi scoprire?
«Si fa un trattamento di epo durante gli allenamenti, così da arrivare a valori di ematocrito pari a 56-57. A quel punto si estrae il sangue (arricchito di globuli rossi, ndr): ogni borsa di mezzo litro prelevata fa calare i valori di tre punti. Si va a correre, e quando i valori si abbassano a 44-45, allora ci si inietta una o due sacche di sangue rinforzato».
E il sangue come viaggiava?
«In contenitori di tetrapak, aperti, lavati e risigillati. I cartoni dei succhi di friutta o del vino. I “corrieri" li mettevano in un trolley per farli passare comne bagaglio a mano in aereo».
Ora con le nuove misure di sicurezza in vigore agli aeroporti non si può più fare.
«Inventeranno qualcosa d'altro. Magari viaggeranno in macchina, cosa vuoi che sia un ritardo di un giorno a fronte di un business tanto ricco».
Ma non è pericoloso portare il giro il sangue così?
«E perché, tenere 200 sacche di sangue in frigo di un appartamento non è pericoloso? Se il frogo si rompe? Chi controlla. Quegli appartamenti erano usati solo per il doping, non ci abitava nessuno . Era facile prendersi un epatite o altro».
Che cosa pensa della situazione di Ivan Basso?
«Che per ora vale la presunzione d'innocenza. Ma c'è il rischio che vada a finire come Ullrich: diceva che non c'entrava niente, ed è stato incastrato dal Dna».
Ha visto Basso a Madrid?
«No».
Lei ha fatto i nomi di altri sportivi.
«Sì, in un programma televisovo, gente dell'atletica, Abel Anton, Alberto Garcia e Reyes Estevez, erano tutti con Fuentes».
Ha ricevuto querele?
«No, nulla».
Ha anche detto di aver visto dei calciatori.
«Sì, spagnoli, di primissimo piano. Ma se fai il nome di un calciatore questo arriva con 7 avvocati. Sto già spendendo una fortuna».
Quali atleti italiano erano con il medico Fuentes?
«Marco Pantani l'ho visto personalmente in Calle Zurbano, una volta che con Jimenez aspettavamo che ci ricevesse Fuentes. Il massaggiatore Francisco Javier fernandez, noto come El Rubio, mi ha fatto il nome di Cipollini. Io al tempo non lo sapevo, ma El Rubio era il braccio destro di Fuentes e mi ha dato per certa la collaborazione tra Mario e Fuentes nel 2002».
Jimenez e Pantani non ci sono più.
«Come Jesus Rollan, storico nazionale della pallanuoto psagnola. Una morte prematura come quella del “Chava” e di Marco. E' l'altra faccia della medaglia doping. Si prendono tanti antidepressivi, che danno dipendenza. Durante un Tour sono arrivato a prendere 8 pastiglie di Prozac. Tre subito all'arrivo. Erano per combattere la fame (pesavo 56 kg, e sono alto 1,78), l'inibizione e l'arrivo di cattivi pensieri. In America la chiamano la pastiglia della felicità, no?».
Ha conosciuto un corridore pulito?
«Sì, Juan Miguel Cuenca, un mio compagno alla Kelme. Ma solo perché aveva un problema all'arteria iliaca: con l'epo gli si addensava il sangue e non sentiva più le gambe».
tratto da «La Gazzetta dello Sport» di oggi, a firma Filippo Maria Ricci
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