HAMMER SERIES, COSA VA E COSA NON VA

PROFESSIONISTI | 28/07/2017 | 07:40
Rivoluzionario e spiazzante, ambizioso e imperfetto. Un frizzante cocktail di pretese e certezze che il primo me­rito ce l’ha già avuto: quello di aver fatto parlare di sé. Le Hammer Series partono già da un successo, a conclusione di quella tre giorni di prove sui pe­dali che hanno esaltato i profili di­versi di uno stesso volto: velocità, salita e corse contro il tempo, da affrontare rigorosamente in squadra. Un contest unico, che stravolge il concetto dell’uomo solo al comando, per prediligere lo spirito di team.

Gemelli diversi di una famiglia che a Limburgo, nell’Olanda meridionale, ha tenuto a battesimo una formula nuova e accattivante.
Capace di radunare al via il Team Sky, poi vincitore dell’edizione inaugurale, e la Sunweb di un Tom Dumoulin di nuovo in sella dopo il trionfo rosa di Milano. Ma anche Ori­ca Scott, Lotto Soudal, Movistar, Lotto NL Jumbo, Cannondale Drapac, Nippo Vini Fantini, Quick Step Floors, Trek Segafredo, Bmc, Roompot, Bah­rain Merida, UAE Emirates, Caja Ru­ral e Israel Cycling Academy. In rigoroso ordine di classifica finale. Anche se, va detto, una volta tanto è lo spirito decoubertiniano a trionfare alla chiusura dell’evento.

A prescindere dall’epilogo agonistico. Tanto che ha fatto 13 ed è contento dell’esperienza, ancor prima che del posizionamento con solo tre altre formazioni alle spalle tra le se­dici partecipanti, an­che il team ma­nager della Bahrain Me­rida.
Brent Cope­land
conferma che «noi siamo rimasti contenti di questa prima esperienza. Non è mai semplice far partire una nuova gara e, nello specifico, una manifestazione del genere. Certo, poi c’è sempre qualcosa di perfettibile, ma sia l’idea che la gara in sé a mio giudizio sono positive». Gli spigoli da limare, per Copeland, sono innanzitutto legati alla prova a cronometro, nella quale una sovrapposizione di formazioni e una condotta di gara più simile a un peloton da grande Giro, più che a una prova a squadre, ha fatto storcere il naso ai più.
«In effetti la corsa contro il tempo ha rappresentato il problema più evidente. A cui ne aggiungerei un altro: quello del poco tempo a disposizione per pubblicizzare al meglio l’evento».
Una lacuna in cui sono sprofondate le aspettative di una massiccia partecipazione.
«Gli organizzatori hanno fatto del loro meglio - continua il dirigente sudafricano - ma è chiaro che con tempistiche più dilatate avrebbero potuto gestire meglio gli aspetti promozionali, facendo capire in modo ottimale soprattutto al pubblico quale tipo di evento fosse. Ora, guardando al futuro, ci sono i presupposti per crescere e le prospettive sono sicuramente incoraggianti. Anche se già quest’anno il ritorno che abbiamo avuto è stato indubbiamente soddisfacente».

Ad alzare il pollice an­che il general ma­nager della Trek Segafredo, Luca Guer­ci­le­na, che ha visto i suoi chiudere al decimo posto. «A mio giudizio, le Hammer Series hanno avuto più lati positivi che negativi. Mi è parso un buon format e mi è piaciuto il concetto di premiare la squadra rispetto al singolo. In più, l’idea di prevedere gare da un’ora o un’ora e mezza mi sembra abbia contribuito a rendere il tutto piacevole da vedere, per gli spettatori. Ma anche il concetto di circuito ha dato quel qualcosa in più: è stato possibile vivere le emozioni e le competizioni in modo più coinvolgente, anche rispetto alle gare tradizionalmente intese, quando l’attenzione si concentra sul traguardo o sull’ultimo quarto d’ora».
Gli aspetti positivi, secondo Guer­ci­lena, non finiscono qui. E il valore ag­giunto arriva anche «dal paddock, con i mezzi parcheggiati per tutta la durata della gara. È qualcosa che rende la ma­nifestazione più accessibile e se vogliamo anche lineare, rispetto ad altre si­tuazioni». Di contro, qualche limatura può essere data a quegli aspetti che non hanno agevolato un’immediata comprensione: «Il sistema dei punteggi tutto sommato è facilmente comprensibile a chi abbia familiarità con le manifestazioni ciclistiche. Ma magari le modalità di svolgimento della cronometro a squadre dovranno essere resi maggiormente comprensibili. La sua strutturazione così diversa richiede un tempo maggiore di comprensione e penso si debba lasciare l’agio di percepire la diversità. In ogni caso penso sia stata un’ottima prima esperienza e credo che non si potesse pretendere di più. Anche il livello di interesse suscitato ha dato ottimi riscontri. La trasmissione via streaming e l’alto numero di clic sui portali dedicati ha dato non solo risposte importanti, ma ha pure introdotto un concetto di fruibilità diversa. Ecco, anche in questo le Hammer hanno rappresentato qualcosa di diverso dal ciclismo tradizionale, che non può essere sostituito, e hanno offerto una nuova frontiera. Anche al mercato dei nostri sponsor».
Terreno fertile, insomma, per chi ha deciso di vivere l’esperienza inaugurale seminando. In attesa di cogliere i frutti dalla prossima stagione.

«In effetti, ci siamo presentati alla com­petizione senza particolari ambizioni, ma l’esperienza ci permette di programmare con obiettivi differenti quelle a venire», spiega il team manager del­la UAE Emi­ra­tes, Carlo Sa­­ron­­ni. «Il calendario ci vedeva impegnati in al­tre ga­re, in quei gior­ni, con il Del­fi­nato e il Tour da pre­parare. Sia­mo an­dati a Lim­­bur­go con Fi­lip­po Gan­na, An­­drea Guar­dini e You­sif Mirza, che rappresentano be­ne le necessità delle tre differenti gare in calendario. E il settimo posto nella crono credo sia sta­to un gran bel risultato».

Saronni è tra coloro che le Hammer non le hanno vissute che di riflesso e «non in prima persona. Ma i ragazzi che le hanno corse mi hanno parlato di un appuntamento valido, con una formula che piace e un buon contorno di pubblico. Non tanto quanto se ne sa­rebbe potuto attendere, visto che ci si trovava in Olanda, ma comunque significativo. La formula show attira e genera interesse. I difetti sono congeniti agli eventi appena nati, tipici delle edizioni inaugurali. Con segnalazioni non sempre impeccabili del percorso e qualche momento di confusione organizzativa alla prima delle tre gare, con qualche corridore in scia alle auto. Cer­to, il termine di paragone sono le organizzazioni rodate come quelle di Rcs o Aso ed è naturale fare qualche appunto. Come la gestione della cronometro, con partenze in tempistiche un po’ troppo ristrette e ravvicinate e qualche intervento della giuria che ha tardato ad arrivare. Insom­ma, valutazioni non perfette prima della gara e durante la stessa. Ma tutto questo ha contribuito, in ogni caso, a creare spettacolo. Quin­di direi che il bilancio non può che essere positivo».

Sulla stessa lunghezza d’onda è Pa­trick Lefevere, CEO di Quick Step Floors: «Si­cu­ra­mente un’espe­rienza in­te­res­san­te, una bel­la no­vi­tà. Che non vuo­le essere alternativa al ci­clismo più classico, ma che por­ta va­lore aggiunto grazie a un format differente. Le Hammer Se­ries meritano di es­sere ripetute ed è solo questione di tempo perché possano essere spiegate e comprese, ottenendo un risultato ancor più grande di questa prima edizione».
Parole, quelle di Le­fevere, a cui fanno eco quelle di Alessandro Tegner, che di Quick Step Floors è il re­spon­sabile del­la co­muni­cazione: «Ab­biamo vissuto sfide mai viste prima, av­vin­centi e vive. Pen­so di poter dire che sia stata l’unica grande innovazione degli ultimi anni e va dato atto che ci è voluto coraggio per creare qualcosa del genere: uno show così condensato ricorda molto, se vogliamo, quello di una gara di Mo­to­Gp. Con emozioni ravvicinate e condensate, non diluite nelle canoniche cinque ore di gara. Come tipologia di evento, credo sia affine alle esigenze degli sponsor e ai ritmi televisivi. Ho visto una produzione video di alto livello, con grandi interazioni sui social e oltre quattro milioni di persone che si sono collegate a Facebook, Twitter e You­tube per seguire la gara, fornendo di riflesso grande visibilità alle squadre e garantendo una grande interazione con il pubblico».

Sorride anche Fran­ce­sco Pelosi, general ma­nager del­la Nippo Vini Fan­tini cicli De Ro­sa. «Siamo sta­ti tra i primi ad es­sere coinvolti nelle Ham­mer Se­ries: i pri­mi contatti con Ve­lon, in questo senso, risalgono al 2015. Anche per questo, la gara era uno dei nostri obiettivi stagionali», e l’ottavo posto finale certifica che il risultato è stato centrato. «Come Pro­fessional, non avremmo potuto chiedere di più. A Limburgo abbiamo apprezzato questo nuovo mo­dello di corse che, secondo noi, in futuro non potrà che crescere. Speriamo di poter essere presenti alle prossime edizioni, così da migliorarci ulteriormente».
Secondo Pelosi, al di là del risultato del suo team, è la formula in sé ad essersi dimostrata vincente: «È stata una corsa particolare ed è stato bello immergersi in questa esperienza, affinando tutte e tre le discipline del nostro sport. Sono state corse intense, con gioco e tattica di squadra che sono state premiate, al termine di appuntamenti con tanta adrenalina e spettacolo. Anche le mo­dalità di comunicazione sono state del tutto nuove, per una gara di ciclismo».
E la chiave di volta sta proprio in questo. «Al netto del miglioramento di al­cuni aspetti, la manifestazione è stata spettacolare e di qualità. Si è visto un ciclismo nuovo, che non potrà mai so­stituire le grandi corse a tappe o le grandi classiche, che restano imprescindibili. Ma che potrà essere vincente in tutti quei Paesi emergenti che si stanno avvicinando al ciclismo e che potranno contribuire a modernizzarlo e renderlo più interessante. A tal proposito, un aspetto che secondo me si potrebbe valorizzare è proprio quello di spostare l’evento nel centro di una città, nel prossimo futuro. Non ho mai visto così tante telecamere mobili, minivideo quotidiani e filmati su Youtube, oltre che streaming su Fa­cebook e tanta attenzione mediatica per un format che, è giusto dirlo, quasi non prevede il vincitore di tappa. Ma tende a premiare il concetto di squadra, rendendo la corsa viva e intensa ogni minuto».

Il cerchio rosso, semmai, anche Pelosi lo riserva per la cronometro finale: «Le prime due tappe sono andate bene, di­scorso diverso per la crono. Con distacchi così corti era inevitabile un accorpamento delle squadre, soprattutto per­ché si correva su strade strette. Cor­rere su vie ampie sarebbe stato diverso e avrebbe contribuito a creare lo spettacolo che anche gli organizzatori si aspettavano. La terza prova, che è an­che quella decisiva, in effetti meriterebbe una rivisitazione».

Stefano Arosio, da tuttoBICI di luglio
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COMMENTI
Ottimo TUTTOBICIWEB
28 luglio 2017 09:11 geo
Ottimo articolo per TUTTOBICIWEB: mettere in risalto questa manifestazione innovativa dimostra un'attenzione di qualità sul ciclismo.
I dirigenti sono concordi sulla positività della manifestazione, spero la perfezionino, la ripropongano e magari la integrino: credo che sia un veicolo importante per gli sponsor innanzitutto, per il pubblico e per il nuovo ciclismo in generale. Non la si deve pensare come una classica o una corsa a tappe ecc, è una manifestazione a sé.

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