Il calcio e quei modi mafiosi
di Gian Paolo Ormezzano
Mi sembra giusto segnalare un aspetto particolare del giornalismo ciclistico nostrano, emerso nella primavera-estate del Giro d’Italia e del Tour de France, fra un Marco Pantani e unLance Armstrong.La notazione finale a cui voglio approdare è, lo dico subito, molto positiva.
Premessa: questo giornalismo ha dovuto gestire in poco tempo due casi sensazionali, quello della messa fuori corsa di chi ormai aveva stravinto il Giro e aspettava soltanto che gli scorressero addosso altre due giornate di gara, quello della prova francese dominata da un reduce, anzi un sopravvissuto del cancro. Rischi di isterismo censoriale o di vittimismo nazionalpopolare nel primo caso, di buonismo spinto e facilone (da libro Cuore) nel secondo.
Entrambi gli eventi, uno fulmineo l’altro costruito giorno dopo giorno, sono stati gestiti in maniera a mio parere esemplare, a parte una sbavatura singola (voglio dire di una sola testata) nel primo: e di più non scrivo perché posso al massimo emettere pareri, non certamente sentenze, ed il parere in questo caso mi costerebbe sentimentalmente troppo. I giornalisti hanno pensato e scritto in molti modi diversi, eppure non ci sono quasi mai state distonie gaglioffe, magari ispirate da esigenze mercantili. La sintesi, editoriale in senso librario, non giornalistico, ma comunque felice e bella, mi pare l’ottimo volumetto quasi fulminante edito dalla Limina, benemerita per lo sport, dove Gian Paolo Porreca in Pantani ed io accusa il corridore e Andrea Maietti in Un kriss nella schiena lo difende.
Non sappiamo se in altri sport popolari, con un giornalismo comunque meno innamorato della materia prima che tratta, ci sarebbe stata la medesima onesta lucidità.E attenzione: innamoramento non vuol dire assolutamente indulgenza, la prova di ciò sta anche nella vita, dove due che si amano regolarmente si beccano eccome. Innamoramento vuol dire anche lotta del sentimento con altri criteri di valutazione. In questo caso, pure chi dei giornalisti ciclistici ha attaccato il ciclismo lo ha fatto pensando di ripulirlo, di guarirlo, insomma di fargli in qualche modo del bene.
Quanto al caso Armstrong, mi pare di avere sempre ravvisato una estrema pulizia nell’approccio con la miracolosa vicenda del campione statunitense, senza nessuna cessione allo sfruttamento sentimentaloide spinto. Ho notato sempre una pudica delicatezza, una gentilezza, e non importa se nate dallo stupore.
Per chiudere: il calcio ha dovuto gestire casi altrettanto clamorosi di doping e dintorni, a meno di pensare che casi clamorosi non siano la mancata attuazione di controlli, l’occultamento di esiti positivi, la sparizione di documenti compromettenti, lo ha fatto in maniera giornalisticamente abbastanza mafiosa (sempre un parere, per carità, non una sentenza), da confraternita, aiutato, bisogna dirlo, dal ciclismo che ha svolto il suo ormai consueto lavoro di parafulmine, o più banalmente di shampoo delle coscienze. E quanto al caso Armstrong, pensate a cosa sarebbe successo, in fatto di produzione di latte e miele per dolcificare il tutto, se il calcio avesse avuto da lavorare una simile materia prima.
h h h h
Soltanto una considerazione antimaschilista, che lima un po’ la soddisfazione delle righe precedenti: quando Fabiana Luperini vinceva il Giro e il Tour il ciclismo femminile interessava eccome, adesso che lei ha smesso di vincere, per legittimo logorio e per contemporaneo avvento di rivali fortissime, sembra che il movimento non esista: eppure, in Italia come nel mondo, non è mai stato così diffuso, così interessante, così forte. Il fatto è che un’atleta ottiene considerazione, presso l’altra metà del cielo, quando fa male cose da uomo, non quando fa bene cose da donna.
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Posso scrivere adesso che mi sono commosso intervistando Bartali quando ha compiuto i suoi primi 85 anni? Io ero coppiano, Gino lo sa, sovente mi ha bonariamente rinfacciato la mia appartenenza alla tribù dei piemontesi, che anche prima di Fausto si erano messi sulla sua strada, con Camusso, con Valetti. Debbo però dire che voglio tanto bene a Bartali, e che se adesso il ciclismo mi proponesse la scelta di un personaggio per cui tifare, come la propose allora al ragazzino che ero, e se la scelta fosse fra un nuovo Bartali e un nuovo Coppi, credo che sarei bartaliano, un bartaliano adulto, vechio.
Ecco, di Coppi mi ero innamorato, in maniera anche repente ancorché singolare, vedendolo battere Ortelli in una prova su pista, a guerra finita da poco, al Motovelodromo torinese. E io, conoscendo il figlio di un manager della Benotto, tifavo Ortelli che pedalava su una bicicletta di quella marca. ABartali ho imparato, in tanti anni di consuetudine, a voler bene, ad apprezzare ogni suo borbottio, a valutare ogni sua frase, a leggere con lenti affettuose il grande libro della sua grande vita.Adesso non soggiacerei più ad un innamoramento repente, totale, adesso farei più attenzione, ne sono certo, e privilegerei il calmo, sicuro, progressivo «voler bene».
O no?
Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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