L’applauso. Henry-Pierre Menthéour, il fratello maggiore di Erwann, l’autore di «Secret defonce», il libro-scandalo sul doping nel ciclismo arrivato a 70.000 copie vendute, ha chiesto alla Federazione francese di ciclismo di cancellare il suo record nazionale dell’ora ottenuto - da dilettante, a 36 anni - a Bordeaux con 52,543 km: sesta prestazione mondiale di ogni tempo. Il corridore francese, in un’ammirevole presa di coscienza, ha dichiarato che non era giusto conservare un titolo ottenuto con il ricorso a sostanze illecite, proposte - vi meravigliate? - da un medico-preparatore italiano.
Complimenti a Menthéour senior che inaugura l’album inedito - questo sì d’oro! - dei Restitutori del Maltolto. Iscrizione libera, non si pagano mica tasse, ci auguriamo adesioni di vincitori di classiche e mondiali dell’ultimo decennio in vena di «mea culpa» sincero e non di un comodo pentitismo, a carriera finita, per pietire ancora il proprio nome in neretto sui giornali. E per il record dell’ora, ancor più, da Boardman a venire indietro, abbiamo l’atroce sospetto che fra Rominger e Moser, Merckx e Anquetil, rotoleremmo indietro fino ad Archambaud, 1937, solo vino rosso e uova, allora, per quei 45,767 in un’Europa sospesa fra le due guerre?
L’oscenità. Paolo Savoldelli, il ciclista cresciuto a campioncino nella Saeco, bello e vincente all’ultimo Trofeo Laigueglia, è stato come è noto convocato subito dopo per un’audizione dai NAS, in rapporto alle sue frequentazioni con il dottor Ferrari, inquisito dal procuratore Spinosa per somministrazione di farmaci dopanti e/o lesivi della salute degli atleti. Fatta salva l’eventuale buona fede del passato, va pubblicamente censurato il successivo atteggiamento di questo ciclista del futuro. «Continuerò a farmi curare dal dottor Ferrari». Muy bien, per ironizzare alla Saiz. O, in alternativa, vi buttiamo lì una reminiscenza morale del genere «errare humanun est, perseverare diabolicum». Più democraticamente, lasciamo padronissimo Savoldelli di confermare il suo sodalizio con il dottor Ferrari e di assumerne le pasticche filosofali. Padronissimi parimenti noi, per rispetto del lettore e dovere di informazione, di considerare con il beneficio del dubbio qualsiasi sua ventura vittoria.
La presunzione. Anche Merckx il giovane, dopo una schiumante Parigi-Nizza, che lo ha visto però in classifica finale solo tredicesimo, alle spalle di Figueras, ha gettato lì una sua malevole considerazione sul ciclismo attuale. «Come è possibile che Marc Wauters che io conosco da una vita e che non è mai stato un campione, si scopra a trent’anni passati uomo di punta e scalatore nella Rabobank?». Al di là della considerazione che ’sto Wauters già si inventò due anni fa una grande «Roubaix» in maglia Lotto - in tre, con Tchmil e Planckaert nel gruppetto di testa, buggerati da Guesdon... - il dubbio enunciato da Merckx il giovane mette sotto accusa la forma «troppo» esclamativa della Rabobank di Raas: quattro atleti - Boogerd, Markus Zberg, lo stesso Wauters, Den Bakker - nei primi sei della classifica finale della Parigi-Nizza. Sarà dunque ciclisticamente l’anno degli olandesi liberisti e floreali, tra spagnoli permissivi, francesi intransigenti e italiani titubanti, questo 1999? Forse il sospetto, in assoluto, andrà tenuto in conto.
Ma, di grazia, non potrebbe chiedersi Wauters come ha fatto a migliorarsi tanto il Merckx giovane di oggi rispetto a quello che correva un tempo nella Motorola e che vinceva la sua prima gara da pro solo dopo ben quattro anni di attività? A ciascuno il suo.
La proposta. Metti una sera a cena, da «Don Alfonso», a Sant’Agata dei due Golfi, la prima tappa della Tirreno-Adriatico: ospiti dell’avvocato Ingrillì. Metti un colloquio sereno sul doping con gente che sa guardare in faccia uomini e realtà, come Pier Bergonzi, Pietro Cabras, Beppe Conti, Maurizio Evangelista. Prima considerazione (e conferma): che fortuna frequentare l’ambiente del ciclismo scritto, gente autentica, che gli anni non muta dentro. Non sapremo mai - o non abbiamo bisogno di saperlo - se i giornalisti che vengono, poniamo, dal calcio conservino la stessa buona disposizione alla lealtà e agli intimi sapori.
Seconda considerazione (e fondamentale): ma perché la Federazione Ciclistica Italiana, o quella internazionale, non utilizzano di più, ai sensi di una correzione «alta» di problematiche quali il doping, certe professionalità di onesta e cultura? Nessuno, certo, vuole giocare a fare i Bruno Raschi, ma è giusto ricordare che anni fa proprio in Francia chiesero ausilio a Pierre Chany e al suo carisma, per affrontare tali inquinamenti...
Il titolo. «Cipollini e Chiappucci interrogati su Ferrari», da Repubblica, 9 marzo 1999. Fermo restando che non ci sta bene neanche Pantani interrogato pubblicitariamente su Citroën Saxo, quanta nostalgia, a fronte dell’ambiguità del termine «Ferrari», di quel ciclismo che veniva intervistato su «Bottecchia»: inteso come nome proprio di persona e nome proprio di mezzo di locomozione...
La frase. «Manolo Saiz ha un pignone fisso al posto del cervello», Gilles Le Roc’h, France Soir, 6 marzo 1999. A proposito del boicottaggio della Once - e del campione di Francia Jalabert in primis - verso le corse francesi o nei riguardi della versione transpirenaica dell’antidoping.
P.S.: Ma per fortuna, oltre quarant’anni fa, per mandare in fuga, via dagli idioti, il ciclismo che predilegiamo, hanno inventato il doppio plateau...
Gian Paolo Porreca, napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare, editorialista de “Il Mattino”
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