Scripta manent
Frigo e Commesso storie del Campania
di Gian Paolo Porreca

Gli stessi giorni di metà marzo ci hanno regalato, con tanta difformità, due storie di ciclismo ambedue personalmente legate al Giro della Campania, la classica del Sud ritornata in calendario l’anno scorso, dopo una sospensione di alcuni anni.
Da un lato, l’aspetto più confortante, abbiamo partecipato con emozione al trionfo di Dario Frigo, l’atleta della Fassa Bortolo, alla Parigi-Nizza. Secondo italiano, come ormai san tutti, a vincere la corsa a tappe francese, 55 anni dopo il successo di Fermo Comellini nel ’46, che poi si sarebbe fra l’altro naturalizzato francese, Dario Frigo è ancora lì infatti, nella nostra memoria personale, vittorioso al “Campania” del 2000.

Lì, in un lunedì gelido, in un corsa dall’atmosfera fiamminga, nel piccolo Frigo, nel suo viso che ridiveniva chiaro, dopo tanta pioggia rappresa in faccia, sul traguardo di Agropoli, trovavamo la luce di un tenero, lieve campione. Sereno, disponibile, misurato, la sua passione per i classici, così atipica in un mondo di play-station, Frigo cominciava proprio da casa nostra la sua ascesa verso i risultati più salienti. E cominciava a riscuotere quel credito con la fortuna che aveva in sospeso, per esempio, dalla caduta nella tappa di Rapallo al Giro ’99 che lo avrebbe costretto al ritiro, mentre era in corsa per la maglia rosa. Frigo, trionfatore nella cronoscalata del Col d’Eze e così incredibilmente primo nella classifica finale della Parigi-Nizza, la corsa che esaltava Kelly e Roche, Merckx ed Anquetil, Frigo, al sesto successo della carriera, storia piccola e grande rispetto a certi palmares da brividi, ci restituiva l’augurio che gli avevamo tributato, fiduciosi ed ammirati, quel 20 marzo di allora, così piovoso. Quando certi osservatori di casa nostra, storicamente accidiosi verso il ciclismo, ci squadravano con sufficienza, «Frigo ha vinto il Campania, ma chi è Frigo e che cos’è sto Campania?», e noi ci sentimmo ad alta voce il diritto di rispondere: «Frigo è un campione, perché solo un campione poteva vincere una gara di questa asprezza!». Ed era lui un campione, e quella di quel giorno una corsa, oggi l’avranno compreso, solo da prima pagina.

In contrapposizione alla bella avventura di Frigo, viviamo invece con sconforto l’errore del nostro Salvatore Commesso. L’ultima volta che lo abbiamo visto, il ciclista di Torre del Greco appena sospeso per doping, con un rischio di black-out agonistico di ben due anni, già campione d’Europa under 23 nel ’97 e campione d’Italia fra i professionisti nel 1999, non è stato francamente un bel vedere. Il 6 marzo, appunto all’ultimo Giro della Campania, Salvatore, per gli amici «Totò», era stato fra gli ultimi a presentarsi, peraltro applauditissimo dagli appassionati di Mercato San Severino, alla firma del foglio di partenza, nella fiammante casacca rossa della Saeco. Ed aveva nel modo di porsi qualcosa già di un ciclista demotivato, se non virtuale: un sovrappeso alla Ullrich, i capelli ossigenati alla Virenque, che per noi non è proprio un modello esemplare, un esubero di braccialetti e ninnoli ai polsi...
Ma un siffatto atteggiamento trasgressivo poteva pure essere confacente, in estrema benevolenza, all’indole fantasiosa, - genio e sregolatezza - di Commesso, che già in passato aveva espresso eccessi di indisciplina: nel ’98, ad esempio, aveva litigato con un corridore tedesco in Sudafrica, nel ’99 era stato ammonito alla Vuelta Espana per comportamento irregolare... Il problema nasceva, ben altrimenti in gara, quando Commesso malinconicamente si sfilava fra i primi carneadi dal gruppo e ramingava nelle retrovie fino a chiedere soccorso sulla salita di Buonalbergo... Allora, il 6 marzo, mentre Commesso si confondeva con il russo Zakirov ed il polacco Gebka, abbandonato dalla corsa vera, intuimmo fra i sussurri del gruppo che sul ragazzo napoletano, ventisei anni appena compiuti, era incombente un amaro, intollerabile problema.

Oggi, Commesso, sospeso - proprio a partire da quel 6 marzo... - dalla Saeco, dopo il deferimento ufficiale della Procura antidoping del CONI che per lui ha chiesto una sospensione di ben due anni, è chiamato a dare ragione agli sportivi e a se stesso, oltre che alle autorità federali e al suo team, di un comportamento superficiale e doloso. Riuscirà a dimostrare la necessità personale, ai sensi di terapie corrette, o in rapporto a sospettate cattive compagnie, sociali e sportive, dei farmaci - una fiala preziosa, si dice trattarsi di Gh - , a lui sequestrati in un controllo a Lecco, nel maggio 2000? Non lo sappiamo. E non lo crediamo, purtroppo. Ci auguriamo solo che questo ragazzo, insediato in Brianza, sul lago di Pusiano, e che fra l’altro non era aduso a frequentare il gruppo storico dei ciclisti napoletani, che fanno centro di allenamento invece sul lago di Garda, abbia la forza d’animo di riguadagnare il ciclismo dalla via maestra. E riesca a ritrovarsi, nello sport e nella vita. Cosa quest’ultima, anche per chi è stato campione d’Italia e vincitore di due tappe al Tour, unico campano della storia, immensamente più importante. E che un altro Giro della Campania, se ci sarà, lo interpreti come un giorno lo interpretò Dario Frigo.

Gian Paolo Porreca, napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare, editorialista de “Il Mattino”
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