In merito all’editoriale apparso su tuttoBICI, lo scorso mese di gennaio, nel quale si parlava di un ragazzo juniores trovato positivo alla cocaina e di un papà direttore sportivo, grande campione del passato che ha chiuso l’accaduto come semplice «ragazzata», adesso il papà ci ha chiesto di poter replicare. Ecco la replica.
11 gennaio 2002, Provezze di Provaglio d’Iseo (Bs)
Egregio direttore,
mi auguro voglia concedere qualche riga all’«Innominato» che ha acceso la Sua pirotecnica verve accusatoria nell’editoriale di gennaio intitolato «Una ragazzata». L’Innominato in questione sono io: Pierino Gavazzi, padre scellerato di Mattia, il «ragazzotto» che - forse su mio stesso consiglio, come Lei lascia intendere - si sarebbe “dopato” con la cocaina per emergere ai Campionati Italiani su Pista Juniores.
Sono io, Pierino Gavazzi, che mi sono permesso di definire «una ragazzata» l’errore di Mattia. Io, che peccando ho meritato «a dishonorem» il titolo di avversario di quello che Lei definisce «l’esercito della salvezza», impegnato per la redenzione del ciclismo malato di doping?
Sono io, tecnico irresponsabile e padre snaturato, il «direttore di banca che giustifica la rapina del figlio», colui che non ha «capito niente», il direttore sportivo meritevole di «radiazione» perché «diventi innocuo» (detto così, sembra una specie di castrazione chimica). D’altro canto, Lei scrive, «non possiamo più tollerare che nel nostro ambiente circolino certe persone».
Chi mi conosce sa chi è, in realtà, il mostro che Lei ha dipinto. Non tocca a me sostenere se io sia o meno un autentico innamorato del ciclismo e se abbia cercato di interpretare al meglio - pur con tutti i limiti e le mancanze che mi accompagnano - il mestiere di padre. Crede che non ci sia riuscito fino in fondo?
A volte qualche dubbio assale anche me, Egregio Direttore. Ma sa, quaggiù sulla terra si vive da uomini, e gli uomini a volte sbagliano. Quaggiù, poi, si ritiene che definire “una ragazzata” lo sciagurato ma occasionale consumo di droga in una festa tra giovani non sia così inconcepibile. Nelle Sue elucubrazioni non ha sospettato neppure per un istante che mio figlio abbia potuto commettere quel grave errore, come tanti (troppi!) coetanei, perché travolto dagli eccessi di una serata sbagliata vissuta con una compagnia sbagliata? E che poi, proprio perché poco avvezzo (grazie al cielo) al consumo di stupefacenti, si sia pure fatto beccare alla prima occasione? No. A Lei, per giustificare la Sua requisitoria, serviva accreditare l’ipotesi del consumo di cocaina a fini dopanti. Il fatto, poi, che il «doping alla cocaina» rappresenti nel ciclismo una circostanza tragicomica non dev’esserLe parso degno di nota. Ma sì spariamo su Gavazzi, deve aver pensato, e scarichiamogli addosso anche tutte le munizioni risparmiate in casi di doping e malcostume ben più gravi e scandalosi. Quei casi che avrebbero meritato “j’accuse” alla dinamite, sconsigliati però da certi equilibri, certi interessi che è meglio non turbare.
Si sa, in fondo il direttore per il suo giornale è un po’ come un buon padre di famiglia. E Lei, sull’argomento, non prende lezioni da nessuno...
Non so se il Suo attacco frontale alla mia persona (e, indirettamente, a mio figlio) sia dovuto all’orgasmo da aspirante padreterno che talora certi giornalisti provano nel dividere il mondo in buoni e cattivi, loro che sono sempre buonissimi, leali ed eticamente corretti. Se fosse così, in fondo, La giustificherei; liquiderei il Suo atteggiamento alla stregua di una semplice “ragazzata”.
Ecco, Egregio Direttore, spero che Lei sia incorso in una ragazzata e che le Sue parole non siano state ispirate da personaggi a Lei vicini (mi perdoni: so che un professionista del Suo rigore morale di solito sa mantenere una perfetta equidistanza da chi lo circonda). Personaggi a cui non dispiacerebbe se Pierino Gavazzi si togliesse di torno perché, ad esempio, le battaglie per un ciclismo giovanile più giusto ed equilibrato possono infastidire certi potentati...
Questa volta, Egregio Direttore, sono io a non far nomi. Come avrà intuito, ho scritto questa lettera sotto il chiaro effetto di allucinogeni.
Pier Mattia Gavazzi
È triste e avvilente dover spiegare ciò che si riteneva chiaro. Imbarazzante come spiegare una barzelletta. E allora scusatemi se mi prendo ancora qualche riga per puntualizzare alcuni concetti.
La mia «requisitoria» era rivolta a papà Pierino Gavazzi che ha avuto il torto di sminuire un fatto gravissimo. Di casi di doping ce ne sono a iosa - da noi mai taciuti - ma il fatto che un papà, un direttore sportivo, un grande campione del passato recente abbia liquidato la triste vicenda come una semplice «una ragazzata», non è stato senz’altro di buon esempio. L’indignazione non è per il fatto in sé, ma per la reazione. In questo caso ha sbagliato più il papà del figlio.
Il mio sfogo è stato il risultato di una telefonata durata circa mezz’ora (si ricorda?), nella quale Gavazzi non si è mostrato minimamente preoccupato, sconvolto e avvilito per l’accaduto, ma ha cercato in tutti i modi di farmi capire che la cocaina non serve a vincere le gare, perché questo è tutt’al più un «doping sociale»: quindi una ragazzata. Scusate la mia stupidità, la mia presunzione, il mio delirio di Onnipotenza, ma io questo lo considero un fatto gravissimo. Grave quanto la sua replica, nella quale scrive: «il “doping alla cocaina” rappresenta nel ciclismo una circostanza tragicomica». Come a dire che è una vera e propria sciocchezza e che il doping è ben altro. Ma non è questo il punto. Noi non siamo scandalizzati dalla «tirata» del giovane Mattia, ma dalla reazione del papà, che si preoccupa soltanto di dimostrare che quella sniffata è stata fatta non a fini agonistici. Voleva proteggere il ragazzo? Poteva tacere, esimersi dal commentare. Per troppo amore ha sbagliato? Posso capire ma non condividere.
Ad ogni modo non penso di studiare da Padreterno, anche perché non ho nemmeno il titolo di padre. Ma, nonostante Gavazzi pensi che io sia ispirato da qualcuno (nel nostro Paese ormai il leit-motiv è sempre lo stesso: siamo vittime di congiure e manovre oscure, e i giornalisti sono tutti dei filibustieri), che gli piaccia o no questo è il mio pensiero.
Pier Augusto Stagi
P.S. In merito al fatto che Gavazzi dica di trovarsi quaggiù tra gli uomini e io lassù, in mezzo agli Onnipotenti, mi spiace doverlo deludere. Io non sono né su e né giù. Se solo si togliesse i paraocchi, si accorgerebbe che sono molto più semplicemente al suo fianco.
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