H o regalato a Matteo (da qui in avanti M.) per l’ottavo compleanno il kit del Giro d’Italia, cioè album per la raccolta delle figurine, prime buste di figurine, infoindicazioni assortite. M. è il settimo dei miei otto nipoti, ed è bravissimo a scuola. Naturalmente tifa per il Toro, e ha imparato a leggere dai tabelloni dello stadio, prima ancora che dai libri e dalle maestre entusiaste di lui. Con raccolte di figurine sul calcio M. ha imparato tante cose, tipo la geografia del mondo, grazie alle varie nazionalità dei calciatori del campionato italiano e delle coppe europee, tipo le capitali, grazie alla sua curiosità che lo ha spinto anche a voler sapere dove ha sede il governo del Ghana. Ogni minuto dedicato alle figurine, alla ricerca di esse e agli scambi con i compagni, compresi gli scambi jumbo in una piazza di Torino ogni qualche domenica mattina, è stato un minuto non dedicato alla play-station, allo smart-phone e genericamente al computer, di cui peraltro M. sa tutto quello che occorre per un uso moderato e responsabile e rateizzato, nonché per aiutare il nonno imbranato.
M. ha già assistito ad alcuni arrivi di tappa del Giro e a numerose riprese televisive, anche di corse straniere e soprattutto del Tour de France. Memorabile per me è stato quel giorno in cui, davanti alle teleriprese dell’Alpe d’Huez, con tutta quella gente ai bordi della strada, quell’entusiasmo, quelle bandiere, quei clacson di auto e moto, quelle corse di pazzoidi di fianco ai corridori impegnati nel pieno della salita, quel casino di bella accesa umanità, M. mi ha detto: “Nonno, ma questo tutto Toro”. Aveva tre anni, mi commossi, subito vergognandomene perché troppo facile, troppo comodo.
Io non sono contrario a queste fleboclisi di passione per lo sport e diciamo anche di tutto lo sport, però con le opportune operazioni di bilanciamento legate al rendimento scolastico, ai modi educati, al rispetto per tutti, dai genitori in giù, all’affetto per i compagni e specialmente quelli meno fortunati. Timothy mio figlio ed Elisa sua moglie lo hanno portato anche allo stadio del Toro, in curva, pagando il biglietto da che ha compiuto i sei anni, e con lui hanno portato la sorellina Anna, quattro anni, che però è rimasta indifferente anche a Torino-Inter 1 a 0, e poi in gran segreto mi ha detto che lei è una principessa e preferisce giocare con le bambole che non stare in mezzo a tutto quel rumore.
Io non voglio imporre a M. l’amore per il ciclismo, e quanto a quello per tutto lo sport formativo anche fisicamente ci pensano i genitori. Lui comunque ha fatto in fretta a incasellarsi in mente i corridori migliori e a giocare al gioco di riconoscerli senza leggere il nome stampato sulla figurina. Ora spero che col Giro e altro ciclismo impari anche un bel po’di geografia, magari quella intima del nostro Bel Paese prima e meglio che quella solenne delle grandi nazioni e delle grandi capitali. Con il calcio da stadio e da album ha imparato presto a leggere, col ciclismo potrebbe imparare presto a capire alcune belle cose dello sport e persino della vita. Per parte mia cercherò a tempo debito di spiegargli cosa era il mio giornalismo trepido e scopritore, con poca pochissima televisione e molta moltissima necessità di ginnastica mentale per immaginare bene le cose.
Confido anche di fargli sapere, con le dovute precauzioni, che non è solo l’Alpe d’Huez a essere tutto Toro, ma anche il Toro a essere, ogni tanto e comunque con bella frequenza invidiatagli dalla Juve, un bel po’ Alpe d’Huez. Non so ancora come farò, comunque convoglierò i miei sforzi su di lui, vista la diserzione della sorellina Anna. Gli altri sei miei nipoti sono ormai dispersi per il mondo degli studi alti e dei primi amori e sinanco del primo lavoro, quando crescevano io andavo in giro dietro ai ciclisti, ai calciatori, agli atleti delle mie venticinque Olimpiadi (record mondiale giornalistico, temo, però troppe). L’era mia bambinesca del ciclotappo, con le faccine dei ciclisti nei tappi a stella delle bibite gassate, era lontana assai e comunque per le magnifiche sorti e progressive del Bel Paese sembrava una cosa nostalgica e povera. Certo che se M. mi reinventa il ciclotappo, di cui non sa niente, o qualcosa di simile, povero e bello, io divento al cubo quel nonno più felice del mondo che già sono.
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