PISTAAA! L'Italia c'è
di Fabio Perego

Sei medaglie e un se­sto posto nel me­daglie­re, anche se se­condi come numero di medaglie con Germania, Gran Bre­tagna e Australia. Non solo la gioia di ricominciare ad essere considerati per quello che siamo, ma la doppia soddisfazione di comparire nel medagliere sotto en­trambe le colonne, quelle per intenderci contrassegnate dalla lettera W e dalla M, cosa che sinceramente non capitava più così spesso come avremmo voluto tutti noi ap­passionati e affezionati frequentatori di velodromi. Nello specifico abbiamo - consentitemi il plurale per la passione che da sempre nutro per questa specialità - ot­tenuto due medaglie con le donne e quattro con gli uomini.
I “puristi”, gli eredi di Maspes e Gaiar­doni hanno già ingranato la quarta e attaccano dicendo che nel­le specialità veloci non esistiamo più, che siamo il terzo mondo e bla bla bla: i darwi­nia­ni, come il sottoscritto, esultano perché dopo aver perso un paio di quadrienni olimpici a pensare cosa fare da grandi, ci siamo rimessi in carreggiata e oggi fi­nalmente abbiamo di nuovo un settore pista che può tornare ad essere considerato tale.
Rieccoli i “puristi”. Quelli del «sì, sei medaglie ma soltanto una è d’o­ro». Vero, verissimo, ma temo che questi sapienti siano esattamente gli stessi che storcevano il naso quando gli ori li vincevano Giorgia Bronzini o Vera Car­rara. Gli stessi che da­van­ti all’oro di Elia Viviani alle Olimpiadi di Rio dicevano che era una me­da­glia frutto del talento di un singolo, non di una nazione, non di un sistema, non di una scuola. O sbaglio?
No cari miei, non funziona così. Così è trop­po facile, signori. Una persona che in questi anni si è nutrita di pista, che ha dedicato la sua vita al ciclismo e che purtroppo oggi noi piangiamo e rimpiangiamo, mi ha sempre detto che «tutti sono ca­paci di mettere i puntini sulle “i”, ma pochissimi sono quelli che sanno scrivere il te­ma». Quanto sia­no at­tuali le parole di Mario Da­gnoni lo sappiamo solo noi.
Mai come og­gi abbiamo dimostrato la nostra for­za, pochissimi san­no che nell’inseguimento a squadre donne l’Italia è stata l’unica nazione a schierare cinque atlete (le altre per non rischiare han­no corso sempre con le stesse), di­mostrando di avere materiale umano in eccedenza, frutto del lavoro e della programmazione. Idem per il settore maschile. Il quartetto è la punta dell’iceberg. Nelle Coppe del Mondo hanno corso atleti più giovani che stanno la­vorando da tempo sulla specialità; Consonni e Ganna devono solo scegliere se voler essere protagonisti alle prossime Olimpiadi o no, il loro valore è oramai conclamato, acclamato, riconosciuto da tutti.
Abbiamo talenti di 18 anni come Le­ti­zia Paterno­ster: lei e le ragazze del quartetto juniores campione del Mon­do lo scorso anno pos­sono garantire almeno due Olim­piadi al vertice.
Inutile na­scon­dersi. Certo, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: quindi cari puristi, vi cedo l’onore delle armi se si parla di specialità veloci; per la prima volta, o forse una delle pochissime, nessun velocista azzurro era presente alla rassegna iridata tra gli uomini, mentre le giovanissime Miriam Ve­ce ed Elena Bis­solati hanno continuato il loro ap­prendistato, il loro progetto di crescita senza va­nità o pretese di risultato, ma consapevoli che il percorso sarà ancora lungo e impegnativo.
Soffermiamoci solo per un attimo ad analizzare i perché della mancata partecipazione degli uomini veloci. Guar­dia­mo la realtà e facciamo una serena di­samina dei numeri, perché di numeri si parla.
Oggi nel km da fermo se fai un tempo di un nulla superiore al minuto, per l’esattezza 1’01’’206, sei undicesimo; con 1’02”259 sei diciannovesimo. Per vincere serve stare sotto il minuto: l’olandese Hoogland si è laureato campione del Mondo in 59”517.
Nelle ultime prove di Coppa del Mon­do, nel cui programma era presente il km da fermo, gli azzurri presenti han­no fatto tempi tra 1’02”686 e 1’03”322, (lasciamo stare chi e quando altrimenti bisognerebbe scrivere per due giorni…), comunque sia un po’ pochino per pensare anche solo di potersi schierare al via del mondiale.
Idem per la velocità, il primo tempo in qualificazione è stato 9”674, il trentunesimo (31°) 10”137: non dico trentunesimo a caso, il miglior tempo di un azzurro in Coppa del Mondo quest’anno è stato 10”151, il peggiore 10”571… Lascio a voi il resto.
Ritengo, senza se e senza ma, che il set­tore della velocità vada ricostruito. Ma non sulle macerie di qualcosa che non esiste: va ricostruito dalle fondamenta, ripartendo da zero. So che dicendo questo mi attirerò le inimicizie di diversi addetti ai lavori, ma la realtà è questa. È davanti ai nostri occhi. E lo dice uno che, nonostante tutto, per sostenere l’attività degli sprinter italiani, negli ultimi tre anni si è impegnato in prima persona a organizzare prove di Campionato Italiano di velocità e keirin per uomini Open e U23: bisogna iniziare a lavorare dai Centri Pista - quelli che lavorano davvero - sostenendoli nella loro attività quotidiana con i giovani. Effettuare una selezione per chi ha l’attitudine alle specialità veloci e levar loro di torno tutti quelli che a 15 anni promettono il passaggio alla SKY (sì, perché a 15 anni chi vince in pista normalmente vince anche su strada). Inserirli in un programma se­rio e che garantisca a questi ragazzi sbocchi per un futuro certo: abbiamo i corpi militari che stanno tornando ad investire sul ciclismo - le Fiamme Az­zurre, l’Esercito, la Po­lizia di Stato -, quindi facciamo in modo che que­sto sia un valore aggiunto per tutto il movimento, una grande opportunità, e non un salvagente per chi ha come obbiettivo solo il posto sicuro: quello Statale.
Insomma, la pista in Italia è viva e go­de di ottima salute. Ha recuperato credibilità grazie al meraviglioso lavoro di tecnici capaci, rispettati e invidiati in tutto il mondo come Marco Villa ed Edoardo Salvoldi, che con i loro collaboratori si impegnano con quotidiana passione e competenza per ottenere il massimo risultato.
L’entusiasmo e l’interesse (stampa, me­dia, appassionati… ) che hanno accompagnato questi Mondiali devono essere propedeutici e di stimolo per tutto il movimento azzurro: in generale il mo­dello di lavoro al quale i nostri tecnici lavorano da tempo sembra essere finalmente realizzato e nonostante qualche disfattista continui a dire il contrario, i progetti esistono e stanno confermando, passo dopo passo, appuntamento dopo appuntamento, la loro validità.
Oggi è il momento di metterli a regime ed applicarli all’attività giovanile. Esiste un progetto talenti che la Federazione Ciclistica Italiana ha varato oramai da qualche an­no e che sta iniziando a dare i pri­mi frutti. Esiste un progetto relativo ai Centri Pista, a cui ho accennato poco fa, che prevede lo sviluppo dell’attività con i fatti e non con le parole. I centri devono rappresentare il pri­mo contatto tecnico per gli atleti che poi saranno avviati, a se­conda delle attitudini, nelle varie squadre Nazionali.
Questa è oggi la pista in Italia. Questo è quello che sta dietro ai podi e alle ottime prestazioni de­gli atleti azzurri; le medaglie so­no e devono continuare essere la gratificazione in primis per gli atleti, ma devono soprattutto essere il riconoscimento dell’ottimo lavoro svolto da tutte le componenti impegnate per il raggiungimento del risultato, nonostante siano ancora tanti, forse troppi i “puristi” che passano il tempo a mettere i puntini sulle “i”, e ci ricordano con preciso disfattismo che ai loro tempi l’Italia era l’Italia; e poco importa che nel frattempo il mondo sia cambiato.
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