CI SIAMO. Tra poco tireremo le somme, faremo di conto, come tutti gli anni a fine stagione. Però già a occhio, diciamolo senza tanti giri di parole, il tanto malandato movimento ciclistico italiano ha tenuto la posizione. Altro che movimento di serie B. Se noi siamo messi male, chi può dire di stare meglio? Forse la Colombia, che al pari del nostro movimento ha raccolto due podi nei Grandi Giri con Quintana e Uran, rispettivamente al Giro e al Tour. Noi con Vincenzo Nibali abbiamo portato a casa due piazzamenti al Giro (terzo) e alla Vuelta (secondo), con Froome che fa storia a sé e tiene in piedi da solo una nazione: la Gran Bretagna. In più, noi, abbiamo Fabio Aru, che in una stagione certamente non da incorniciare è stato l’unico a vestire la maglia gialla per due giorni oltre al keniota bianco, e ha chiuso la Grande Boucle al quinto posto.
Ci siamo difesi anche nelle corse di un giorno, abbiamo vinto tappe, ci siamo confermati una delle nazioni più continue e competitive. È vero, ci manca la zampata nelle corse Monumento, perché quelle di World Tour le abbiamo vinte, sia con Elia Viviani che con Diego Ulissi. Ci mancano le gemme, ma quelle sono finite a Kwiatkowski (Sanremo), Gilbert (Fiandre e Amstel) e Valverde (Freccia e Liegi).
Tra gli sprinter godono, e tanto, Fernando Gaviria e Marcel Kittel. Poi c’è lui, Peter Sagan, che in questo momento non è solo l’uomo di un Paese (la Slovacchia), ma è il simbolo per non dire l’essenza del ciclismo tutto. C’è tanto ciclismo, ma c’è poco, pochi nomi, pochi personaggi. Eppure l’Italia c’è eccome, e non è certo quella che sta peggio. Non c’è da stare allegri? Forse, ma nemmeno da stracciarsi le vesti.
BON TRAVAIL. Si torna a parlare francese, e spero anche che il ciclismo torni a parlare un’unica lingua. Il successo alla presidenza Uci di David Lappartient, geometra bretone, che ha annichilito con un secco e mortificante 37 a 8 Brian Cookson, l’architetto britannico, è solo il primo passo di un lungo tragitto di lavoro che dovrà percorrere il nuovo presidente del ciclismo mondiale. Per il momento accolgo con soddisfazione la vittoria del dirigente francese, 44 anni, che ha trascinato al successo anche il nostro presidente federale Renato Di Rocco. Da sempre al suo fianco, il numero uno del ciclismo italiano è uno dei tre vicepresidenti dell’Uci, con l’egiziano Hazzam e il colombiano Pelaez.
Lappartient, che tra i tanti meriti ha anche quello di aver rilanciato la UEC (l’Unione Europea del ciclismo), una scatola vuota priva di senso fino al suo avvento, ora lascia il mandato e la poltrona allo svizzero Rocco Cattaneo, così come il belga Tom Van Damme andrà a sedersi su quella che il transalpino ricopriva alla guida del Consiglio Professionistico (Ccp).
Si chiude così l’era Cookson. Al britannico va riconosciuto perlomeno il merito di aver riportato ad un livello di credibilità tutto il movimento ciclistico mondiale dopo la bufera. Con Lappartient, suo vicepresidente, al centro dovrebbero tornare l’Europa e la storicità delle corse, con una maggiore propensione al dialogo con le Federazioni nazionali.
Lappartient è un giovane dirigente che conosce profondamente il ciclismo, ma sa anche dialogare con la politica, perché lui stesso è un politico fatto e finito. Per otto anni presidente della federazione francese, sindaco di un paese della Bretagna, avviato a una carriera da senatore che ha lasciato per dedicarsi all’Uci, Lappartient si autodefinisce «un decisionista democratico». Il transalpino ha detto di voler riportare le Federazioni nazionali al centro del progetto ciclismo. Ha garantito una lotta serrata sia al doping chimico che a quello tecnologico. «Non voglio che la frode tecnologica diventi un nuovo affare-Armstrong per il nostro sport, sarebbe un disastro», ha precisato.
Vuole innalzare il valore economico del ciclismo professionistico, ma per farlo ha lasciato chiaramente intendere che è necessario aumentare la qualità del prodotto che si andrà a vendere. Questo prodotto non solo dovrà essere bello e appetibile, ma dovrà avere anche una doppia coniugazione di genere: sia maschile che femminile. Ma tra i suoi punti c’è anche l’armonizzazione di un calendario di World Tour che dovrà eliminare sovrapposizioni inaccettabili. Insomma, tanti punti importanti, tanti buoni propositi che andranno verificati sul campo: dalla teoria alla pratica, questo è il difficile. Io saluto il presidente con tutto il calore che si deve a un nuovo dirigente che sta per intraprendere un inedito e stimolante viaggio, augurandomi che nei prossimi quattro anni possa davvero fare per tutti noi un bon travail.
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