Gatti & Misfatti
Cassani come Ciampi

di Cristiano Gatti

Più della stravaganza del Mondiale in Qatar - eb­basta coi piagnistei per il caldone e per il deserto anche in tribuna: il ciclismo or­mai è mondiale, si corre ovunque perché gli sponsor hanno interessi ovunque, dunque met­tiamo in conto che qualche volta si possa persino avere l’impressione d’essere al luna park, più della singolarità dell’evento sarebbe il caso che noi italiani andassimo in letargo solo dopo una seria riflessione sui risultati azzurri 2016. Non ci possiamo ridurre soltanto a contare le medaglie (brillantissimo, fino ad accecare, l’oro di Viviani), a mettere in fila piazzamenti buoni e piazzamenti imbarazzanti. Per questa contabilità basta un attimo. L’ab­bia­mo fatta subito. È di un altro bilancio che intendo parlare. Me­no evidente e immediato, ma certo non meno importante. Tutt’altro.

Io metterei al centro delle valutazioni Davide Cassa­ni. La famiglia federale è ampia e numerosa, un uomo solo non può nulla. Però in que­sto caso siamo di fronte a un ct particolare, diciamo pure nel segno dei Martini e dei Bal­lerini, cioè a veri e propri tuttofare, o multitasking come di­reb­bero adesso. Dire che Cas­sa­ni si riduca a mettere insieme qualche atleta una volta all’anno (stavolta due, anno olimpico), mi sembra davvero surreale. Cioè sopra la realtà, al di fuori della realtà. Cassani è molto di più: a occhio e croce, è un supervisore dell’intera vita azzurra. Un preside. Un dirigente scolastico, secondo le nuo­ve regole. Partecipa dall’asilo delle categorie giovanili fino all’università dei professionisti. Con quali risultati?

In quanto ct dei prof su strada, è a digiuno. I nu­meri non sono un’opinione. Ma giudicare Cassani in questo modo è altamente in­giu­sto: dal punto di vista dell’argenteria, senza la caduta di Nibali ai Giochi saremmo probabilmente qui a dire altre co­se. Ma torno a dire: non ha sen­so giudicare Cassani da una medaglia in più o in meno. Per­sonalmente, trovo che il suc­cesso di Cassani sia un al­tro, se vogliamo molto più prezioso dell’oro. E gliene voglio dare pubblicamente atto.

Siamo tutti grandi e vaccinati, la premessa è scontata: Cassani può risultare simpatico o antipatico, ma le valutazioni devono prescindere da questi criteri personali. Guardiamo alla so­stanza. Ebbene, chiudendo questo 2016 io mi sento in do­vere di considerare Cassani co­me un piccolo Ciampi. Il paragone è stravagante fino a un certo punto. E comunque Da­vide se l’è guadagnato sul cam­po. Lo ricordiamo, il presidente appena scomparso: ricordiamo il significato particolare della sua gerenza al Quirinale. Dopo i decenni cupi e deprimenti in cui parlare di patria e tricolore era una vergogna, Ciampi ebbe il grande coraggio civile di re­stituire alla patria e al tricolore tutta la dignità che meritano. Cultore della storia risorgimentale, come studioso e come ap­passionato italiano, gli fu facile inalberare con sincero e rinnovato orgoglio l’amata bandiera. E per tutto il popolo, abituato a sentirsi orgogliosamente italiano soltanto sulle tribune de­gli stadi, fu naturale riscoprire i propri valori e le proprie radici, tanto da arrivare ormai a sdoganare completamente il sen­so di patria. Il merito non fu di altri: fu di Ciampi. Che si prese la briga di cominciare, andando controcorrente.

Senza farla troppo lunga, credo che siano già ab­bastanza chiari i termini del paragone. Cassani sta fa­cendo con la maglia azzurra ciò che Ciampi fece con il tricolore. Non sono lontani i tempi in cui la nazionale era vissuta con fastidio dagli atleti e dai loro padroni. Evito per pudore di ri­cordare che cos’era ormai il cam­pionato italiano. Passo ol­tre. Ricordo il resto. Gente che storceva il naso davanti alla convocazione, gente che poneva condizioni, che ricattava, che si concedeva facendola ca­lare dall’altro. E sponsor che me­t­tevano i piedi sul tavolo. E vertici federali distratti, se non assenti (chiedere a Bettini, eventualmente). E la maglia az­zurra, e il tricolore? Sec­ca­ture che ogni tanto venivano a disturbare la visibilità dei club. Ma basta con questa nazionale, ormai non ha più senso, ormai è un vero anacronismo...

Con calma, a piccoli pas­si, sopportando un sac­co di lunatici e di prepotenti, Cassani ha lentamente ridato prestigio e dignità alla maglia azzurra. Partendo dai livelli giovanili, fino ai più alti gradi dei big. La convocazione non è più una seccatura, ma torna a essere un obiettivo stagionale. La maglia azzurra non è più un indumento anonimo e slavato, più o meno come una canottiera, ma un’icona da conquistare e da mettere in bacheca. Come ci è riuscito, il cocciuto Cassani? Credo che il segreto sia uno solo, lo stesso di Ciampi: prima di chiedere passione e amore agli altri, li sente e li vive dentro di sé. Da sempre, fin da quando faceva il gregario per Martini e a quella convocazione teneva da matti, facendone una malattia. È una regola antica come l’uomo: si trasmette ciò che si ha dentro. Se c’è.
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