Tempo fa mi sono occupato sul Corriere del caso Totti. Lui che si apre al Tg1 raccontando tutto il malessere di questo malinconico tramonto, Spalletti che sfrutta l’occasione per una plateale prova di forza, cacciando il mito dalla sua - del mito - seconda casa. In quella occasione, restando rigorosamente all’episodio, mi sono sentito in dovere di difendere Totti, colpito da spropositata rappresaglia per il solo fatto di avere detto la pura verità. Colpevole di sincerità. E giù la ghigliottina sul papa laico di Roma.
I duri e puri del ciclismo, che non vogliono perdere tempo dietro alle frattaglie del calcio, già avranno pomodori e uova marce pronte al lancio su di me, facile bersaglio per il reato di premeditata contaminazione. Chiedo solo un attimo di pietà, prima di partire col tiro al piccione. Vorrei convincere tutti quanti che Totti è soltanto lo strumento, l’occasione, l’espediente, per discutere qui tra noi di un tema molto più universale, quello sì davvero incombente anche sul ciclismo. Come intitolerei questo tema? Più o meno, così: la verità, la vogliamo davvero o facciamo solo finta di volerla?
Abbandonando Totti alle sue tribolazioni, buttiamoci a capofitto sulla nobile questione. Da quando frequento il mondo dello sport - ma in fondo non solo quello - sento dire da giornalisti e tifosi che i personaggi sono noiosi, prevedibili, ruffiani, opportunisti. Mai che nelle interviste e nelle uscite pubbliche si lascino un po’ andare con qualche parola sincera. Altro che sincerità: pesano l’aggettivo, saccheggiano il libro dei luoghi comuni, coniugano per intero quello delle frasi fatte. Non dicono quello che pensano e che hanno dentro: dicono quello che bisogna dire. Quello che conviene dire. Quello che immaginano gli altri vogliano sentirsi dire. Da qui, l’aridità, la prevedibilità, il piattume delle interviste. Un format omologato buono per tutti. Per la serie voglio farmi trovare pronto dal mister, il percorso è duro e il Giro è ancora lungo…
In platea, il malumore diffuso. Che barba, questi campioni sono una vera pizza, anonimi e slavati, anche un po’ para, mai uno che si decida a dire qualcosa di vero e di sentito. E buttati, una buona volta. Dicci qualcosa, una buona volta. Poi, quando improvvisamente sbarca da Marte un alieno che per qualche motivo preferisca dire la semplice verità, ciò che pensa e ciò che sente, apriti cielo. Ma cosa gli salta in mente? Ma come si permette? E via con i pistolotti sul bon ton e sul galateo del bravo atleta: i panni sporchi si lavano nello spogliatoio, le proprie macerazioni non vanno portate in pubblico, dovrebbe vergognarsi a sputare nel piatto dove mangia.
Ci si capisce. Come minimo siamo un po’ tutti dissociati mentali. Per non dire schizofrenici. Quando sono ruffiani li vogliamo aperti e sinceri, quando sono aperti e sinceri gliene facciamo una colpa. Ma come li vogliamo, allora? A me pare di capire che li vogliamo sinceri, però incapaci d’intendere e di volere, cioè totalmente amorfi, acefali, innocui. Dicano pure ciò che pensano, purchè non pensino. È per questo che Totti finisce fuori da Trigoria come un imbucato ai matrimoni, con la sagoma della suola disegnata sul didietro: non può dire al Tg1 che sta soffrendo, che non immaginava un finale così per la sua carriera, che non ci si può ridurre al buongiorno-buonasera con l’allenatore. Niente di dinamitardo, niente di spaventoso, niente di vigliacco: la pura e semplice verità. Terribile. Imperdonabile. Fuori dalle scatole, qui hai chiuso.
Dalle nostre parti, nel nostro recinto, abbiamo un bestiario piuttosto conforme al modello generale. E quando un personaggio esce dal coro, è subito investito di rimproveri. Al momento mi piacciono molto il maturo Nibali e il giovane Formolo: ciascuno a modo proprio, hanno il pregio fuori dal comune di dire ciò che pensano. Emergono per personalità e franchezza. Essere sinceri, aprirsi, persino sbilanciarsi non significa sparare la prima pirlata che passa per il cervello. Quello si chiama dare aria ai denti. Ma evitare di mettersi la maschera ogni volta è già un bel segno di libertà, in fondo il bene più prezioso che ci è concesso. Certo i Nibali e i Formolo, ma potrei aggiungerne qualcun altro (non tantissimi, per la verità), non spifferano in piazza i fatti loro più privati, certo usano la prudenza del garbo, ma mediamente esprimono giudizi, pareri, opinioni senza tanto calcolare se convenga, se sia redditizio, se possa piacere alle masse. Da questo punto di vista, per esempio, trovo invece che Aru sia ancora un po’ troppo contratto, un po’ succube del suo personaggio di bravo ragazzo, sempre pronto a dire la cosa giusta, senza mai una parola di troppo. Spero che acquisendo maturità, possa finalmente liberare anche l’altro Aru, cioè l’uomo che ha masticato tanta fatica e tanti sacrifici nello studio e in bicicletta, dunque sicuramente più ricco di quanto voglia apparire.
Detto questo, si sarà compreso come li vorrei io, i personaggi pubblici: sempre e inguaribilmente se stessi. La sincerità, la verità, la libertà hanno sicuramente un loro prezzo, come minimo rendono la vita più complicata e riducono la cerchia dei servi sciocchi. Ma è uno di quei prezzi che non bisogna pagare col braccino. Mai badare alle spese, per usare la propria testa.
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