Gatti & Misfatti
Faccio finta di non capire

di Cristiano Gatti

Stando a sentire loro, noi tutti ci addormentiamo la sera cullando un ma­gnifico sogno: le Olimpiadi di Roma. Ce lo dice Malagò, presidente Coni, ce lo dice persino Renzi, presidente del consiglio. Tutto un popolo che non vede l’ora di sognare ad occhi aperti, come ai tempi di Abebe Bikila a piedi scalzi sui sampietrini del­la città eterna. Basta con il pessimismo e i musi lunghi, ripetono in tutte le sedi e in tut­te le salse, perché mai do­vremmo negare agli italiani un altro sogno olimpico, dopo quella magnifica avventura del 1960? Davvero dovremmo ri­nunciare al grande progetto soltanto perché temiamo nuovi ma­gna-magna, nuovi sprechi e nuove corruzioni? È avvilente, anzi è umiliante rinunciare per paura di cadere in tentazione. Non esiste proprio, l’Italia di­mostrerà di cosa è capace, se solo ci concederanno la chanche. Abbiamo pure Monte­ze­molo, non so se mi spiego.

Non mi vergogno ad ammetterlo: sono tra quelli convinti che or­mai l’Italia non si possa più permettere grandi manifestazioni, proprio perché ogni volta diventano occasioni per far man­giare pochi e per lasciare una montagna di debiti a molti (tutti noi, la collettività). Le ho seguite tutte, le nostre grandi esibizioni, per riuscire ancora a schierarmi con gli ottimisti. E se dicono che è avvilente, anzi umiliante, rinunciare, ne convengo: certo, è proprio così. Ma purtroppo siamo noi ad esserci ridotti in questo stato, con una lunga catena di dimostrazioni indimenticabili, da Italia 90 ai Giochi invernali di Torino, dai Mondiali di nuoto all’Expo. Di­ciamoci la verità, una volta per tutte: ai rapaci affaristi che ci mettono sopra il cappello, del­lo sport e dello spettacolo po­polare importa una bella sverza. A loro interessano solo gli appalti e le buste sottobanco, altro che De Coubertin e medagliette varie. Quanto ai tifosi, mi chiedo se davvero an­cora ci sia in giro un italiano convinto che ospitare i Giochi olimpici sia occasione di riscatto nazionale e di orgoglio perso­nale. Ma dove, ma quando.

Certe ambizioni, secondo me, dovrebbero coltivarle solo i Paesi con i fondamentali a posto. E non dico dei conti pubblici. Non solo. Prima ancora dico dei fondamentali sportivi, cioè stadi de­centi, impianti di base, palestre nelle scuole. Qui invece siamo nella nazione degli stadi sfasciati, delle palestre (quando ci sono) con l’intonaco cadente, delle piscine incompiute. Non mi sta più bene, non me la be­vo più, che ogni tanto salti su qualche magalomane con i suoi bei discorsi sull’imperdibile oc­casione di rilancio e di modernizzazione, sul grande investimento “che consentirà di dotare finalmente la nazione di strutture all’avanguardia, poi a disposizione di tutti”. Ma a chi la raccontano. Vadano a vedere, quel che resta: voragini paurose nei conti, impianti abbandonati ai rovi e agli spacciatori, quando non si scopre che sono già vecchi e obsoleti la mattina do­po la cerimonia di chiusura. Sa­rà un caso, ma ultimamente gli affaristi riescono a ancora a gettare il fumo negli occhi soprattutto nei Paesi afflitti dai più gravi problemi sociali, usando l’eterna illusione della propaganda, per mascherare con una bella sbornia collettiva il disagio e l’ingiustizia di una società squilibrata.

Resta inteso che comunque avremo i Giochi di Roma e tutti dovremo fingere d’esserne felici. Lo vuo­le Malagò, lo vuole Renzi. Lo vogliono archistar e palazzinari ultimamente un po’ in crisi di appalti, con quest’edilizia che proprio non vuole ripartire. Lo vogliono gli assessori, e non preciso perché. Alla fine, ci strapperanno un sì all’unanimità con la solita carta irresistibile: vedrete quanti mila posti di lavoro, con questa grande avventura. Sì, come sulla Salerno-Reggio Calabria.

Il discorso mi calza benissimo, tanto per non restare troppo lontano dal nostro orto, con l’attualità del ciclismo italiano. Il Paese che non trova un euro per mettere in sicurezza i ragazzini sulle piste ciclabili, il Paese che per mancanza di soldi cancella ad una ad una le sue corse più gloriose, il Paese che fatica a mettere insieme qualche squadra decente, proprio questo stesso Paese è cu­riosamente il più attivo nel chiedere l’organizzazione dei Mondiali. Li vorremmo ovunque, li vorremmo tutti gli anni. Al Nord e al Sud, al mare e in montagna. Strano, molto strano. Io fatico a capire questa evidente contraddizione. Più che altro, voglio fare finta di non capire.
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