Rapporti&Relazioni
Conquistiamo Expo 2015

di Gian Paolo Ormezzano

La federazione dell’atletica sta irreggimentando i tantissimi runners o joggers o podisti o chissaccosa, il progetto è una “special card” tutta per loro, pochi soldi da spendere molti vantaggi da acquisire, e comunque de­naro fresco in arrivo dal tesseramento nazionalpopolare di una mol­titudine di faticatori perlopiù urbani, denaro da destinare alle at­tività giovanili. Il ciclismo non fa­rebbe niente di male a copiare. Ve­ro che ha già fatto molto, se il mo­vimento cicloturistico è una bella e grossa cosa, ma ci vogliono idee sempre e sempre più nuove per conquistare e preservare l’attenzione, le città, i giornali, le radio, le televisioni, internet e chissà quale altra diavoleria prossima ventura.

Una volta, ad un convegno in quel di Firenze, giustamente mi chiesero di uscire dal classico sarcofago giornalistico comodo in cui spesso noi guazziamo, auspicando e sentenziando (se possibile a posteriori, meno rischio) e dicendoci mai contenti: uscirne proponendo qual­cosa di pratico, di concreto. Era di quei giorni la notizia del se­gretario ciclomane di un partito po­litico neanche grosso (il partito, ma anche il segretario, uno dal fisico secco di sportivo praticante), co­munque molto rappresentativo quanto a idee sane e persino cultura storica, che era stato messo sot­to (il segretario, non il partito) da un’automobile mentre pedalava in città. Auspicai allora che nascessero altri eroi di quel tipo, e non im­porta se col forcipe o col parto ce­sareo dell’incidente, auspicai che ci fossero persino dei martiri estremi, dei morti insomma, da fare santi subito perché sacrificati per la sacra causa delle piste ciclabili. Sì, con cinismo pratico e provvido nonché provocatorio, augurai allo sport beneamato una qualche mor­te gloriosa in bicicletta, sulle piste ciclabili cittadine, di un qualcuno che non fosse un nessuno, an­zi. Venni trattato abbastanza ma­le, giustamente credo, eppure se adesso ci fosse un santo martire ciclista da venerare il ciclismo avrebbe una buona carta, addirittura una “very special card”, penso proprio ad un santino, da una par­te l’immagine del santo martire, o addirittura il quadretto tipo ex vo­to dell’incidente, dall’altra il ricordo del suo sacrificio.

Scherzavo allora e scherzo adesso, neanche troppo allora e neanche troppo adesso. Sì, perché penso che davvero il ciclismo sia un esempio continuo di sciupio di te­matiche popolari facili, sane, tutto sommato anche oneste. Si pensi a come non sa, non vuole giocare tut­ta la carta dell’ecologia, si pensi a come continua anzi a come insiste nell’enfatizzare lo sforzo da po­veri, la santità del sudore, la semplicità spesso coatta, da beoti, il ridicolo delle divise che come bruttezza cosmicomica sono superate soltanto da quelle delle guardie svizzere del Papa, ideate da Mi­chelangelo che proprio quel giorno doveva avere cambiato pu­sher.
Quasi mezzo mondo va ormai in bicicletta contro la motorizzazione, per ricchezza di idee e non per povertà di mezzi. Quasi mezzo al­tro mondo approda alla bicicletta co­me strumento di lavoro, e di progresso rispetto al deambulare a piedi o con l’aiuto di animali. L’Ita­lia sta in un terzo mondo piccolo, ritagliato a stento fra quello del progresso in bicicletta e quello della bicicletta come cavallo metallico (o anche di plastica, ormai) per andare al lavoro.

Per non fare la parte classica del giornalista che scrive che tutto va male, ma non scrive neanche di striscio cosa fare perché qualcosina almeno vada bene, avanzo una proposta. L’Expo milanese del 2015 si ispira la cibo, con le sue problematiche, i suoi culti, le sue miserie ed i suoi eccessi. Il ciclismo agonistico ha col cibo un rapporto speciale, come nessun altro sport: le 32 uova ingurgitate da Al­fredo Binda in un Giro di Lom­bar­dia sono storia. Il cibo del ciclista, le calorie del ciclista, il metabolismo del ciclista, persino la di­gestione del ciclista, tutti temi a loro modo intriganti, con pantagruelismo forte. Ecco un must per i giorni dell’Expo. Un rapporto fra cibo e uomo che in corsa si evolve in tante ore, la torta di riso e il pa­nino di prosciutto, il formaggio molle e lo zucchero… Sono temi che meritano dibattiti, tavole ro­tonde, seminari, saggi pratici, persino risse.

Lo dico per esperienza personale alla maratona di New York, che da fachiro senza allenamento specifico ho cominciato e fi­nito nel 1995, per i miei sessant’anni: il “pasta party” della vi­gilia, quando da tanti giorni all’insegna del primato delle proteine cioè della carne il podista passa all’abbuffata di carboidrati, la torta del­la nonna come la semplice divina pastasciutta, è rito, festa, studio, al­legria, scienza. A Firenze chiesi sacrifici umani, adesso per Mila­no/Expo 2015 chiedo una sana at­tenzione al bipede implume che pedalando sa assumere ed elaborare seimila calorie in un giorno. Giuro che ne parlo al mio amico Carlin Petrini, l’Einstein di Slow Food chiamato a Milano, dalla sua Bra, per dare il tono giusto alla Gran­de Abbuffata che in modi di­versi fa andare avanti il mondo. E che nessuno sa portare in giro be­ne come i ciclisti.
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