Chiediamo a questo spazio mensile, a questa rubrica cara, stavolta, qualcosa di più.
Chiediamo e doniamo, più di ogni altra volta, da una quindicina di anni o giù di lì, una quota di amore speciale, sopra le righe, per il ciclismo.
Sì, d’accordo, su queste righe da sempre abbiamo privilegiato la lettura o la riflessione o anche la memoria personale, ma in questa occasione corrente - agosto 2013 - la questione ha una caratura specifica, e psicologica prima ancora, senza tema di confronto.
Questo pomeriggio che finisce, con la luna di luglio che si affaccia maestosa sul mare e sul golfo di Napoli, non ci suggerisce, difatti, la gioia e la speranza del futuro del ciclismo di agosto. Né sportivo, né personale. No.
Questo pomeriggio che si rassegna alla sera ci obbliga a raccontare senza pudore l’amarezza di un commiato. Ciclismo intimo, non agonistico.
“No, dottore, è il caso che per un po’ lei lasci stare la bicicletta…”.
Un medico, a noi che siamo medici, ci ha imposto, per la sequela noiosa di una lesione retinica, di rinunciare alla bici di agosto. Quella che era la mia avventura, la mia
gioia, la mia fuga per una solitudine attesa dalla stagione precedente, la mia vacanza da trent’anni e più. Consecutivamente. Senza soluzione di continuità.
L’estate ed agosto, ad Ischia, dal ’79. E da allora, puntuale, la gente regolava forse l’orologio, come facevano un tempo con Emmanuel Kant il filosofo, ogni mattina, partenza alla stessa ora, prima che si alzasse troppo il sole, il saluto dei vigili urbani che montavano, un cenno a Pancrazio il giornalaio, la stessa sgroppata. Anzi, la stessa pedalata faticata e obbligata, perché in salita: dalla spiaggia dei Maronti a Barano, e semmai il giro dell’isola, o un percorso amico da rivisitare, fino alle soglie dell’Epomeo e del “Bracconiere”… O semmai, verso Casamicciola, una sosta per le alici fritte e il vino bianco al “Rosaleo”... Quel nostro ciclismo leggiadramente epicureo...
Lasciare la bici, senza sapere, in realtà non riconosco nitide le figure ancora, non è un bel vedere tuttora, se potrò riprenderla più in là: classe ’50, impietosa, fra l’altro.
“Dottore, lei deve capire, ogni sollecitazione per la retina è un microtrauma, da evitare per quel che ha avuto...”.
Con il prioritario e doveroso riguardo ad un recupero ottimale, per la professione strutturata... E sia, ci mancherebbe altro.
Ma quanta struggente nostalgia vi confidiamo, come un regalo di amore per la bicicletta - qualunque essa sia - che voi potete tranquillamente inforcare. Che dispiacere, questo addio ad una fidanzata che non ci ha mai tradito e non è mai sfiorita, e che ci aspettava questa stagione ancora.
Quante volte abbiamo scritto, e quanti scrittori e giornalisti lo hanno fatto, della nostra “prima” bicicletta, epp ure quanto singolare, quanto inatteso e più enorme, è il sentimento che cresce dentro per questa bici destinata senza colpa a diventare “ultima”.
Salutata a settembre 2012, una “Boschetti”, che di inverno mi cura il buon Agostino.
E che aspetterà invano il suo padrone, nonostante le ruote nuove. Come un cucciolo di cane lupo alla posta fedele, sullo stradone dei contadini.
O soltanto come quell’oggi che attende - invano? - che arrivi finalmente il domani.
Ps: Anche per questo amore mio spalancato senza ritegno, che non risulti patetico o crepuscolare, continuate a pedalare tutti. Amatori ed agonisti, per beneamati motivi di cuore.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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