E meno male che alla fine abbiamo trovato la soluzione contro la deriva dopata e diseducativa del ciclismo giovanile: con regio decreto del presidente federale Di Rocco, i giovanissimi dovranno correre per poesia e per divertimento, basta con la folle e cinica corsa al premio sin dalla più verde età.
Messa così, bisogna riconoscerlo, suona bene. Ha qualcosa di alto e di etico, di pedagogico e di romantico. Ma sì, i ragazzini devono praticare sport con animo leggero, levandosi dalla testa l’ossessione del risultato a tutti i costi, persino al costo abominevole di una pastiglia o di una siringa prontamente allungata dal solerte adulto che lo sta istruendo. Come scelta, ha il pregio innegabile di riconoscere il problema e di cercare una soluzione. Devo però dire che i pregi finiscono subito qui. Io non ne vedo altri. Piuttosto, mi deprimono altre considerazioni.
Che esista il problema di un’eccessiva pressione sui bambini, in tutti gli sport agonistici, è innegabile e molto preoccupante. Basta andare il sabato pomeriggio al campo dell’oratorio per assistere allo squallido spettacolo dei genitori arrampicati sulle reti per insultare arbitro e mister, ma anche la propria creatura che sbaglia la diagonale, nonché degli stessi allenatori allupati, questi uomini cui affidiamo i nostri figli per una sana educazione sportiva e che invece incitano a entrare da dietro, a dare di gomito, ed eventualmente, quando è il caso, perché no, a sputare.
Il ciclismo non si sottrae, purtroppo, a queste degenerazioni assurde. Il mondo adulto è subito pronto a traviare il più candido dei bimbetti, in nome di un malinteso senso dell’agonismo, e svegliati, e impara a stare al mondo, e guarda che se non li mangi tu ti mangiano loro, e tira fuori la cattiveria, e non guardare in faccia a nessuno, e nella vita i deboli non vincono mai una beata fava, e intanto prendi questo che ti dà un po’ di energia…
Quante volte, in giro per corse domenicali, abbiamo fiutato questa atmosfera. Quante volte i piccoli diesse di paese, scimmiottando i Ferretti e i Riis, gli Algeri e i Reververi, distruggono in una mattinata tutti i faticosi sforzi educativi che famiglia, preti, scuola, quotidianamente profondono nel delicato settore dell’infanzia. È vero, ha ragione Di Rocco, qualcosa bisogna fare, prima che i bimbetti di oggi siano gli spregiudicati e amorali professionisti di domani, uomini senza valori in testa, tranne uno: quello ematico.
Eppure, riconosciuto tutto questo, la scelta di abolire la medaglia continua a lasciarmi un retrogusto amarissimo. Non ho una soluzione alternativa, lo dico subito. Troppo difficile. Ho però qualche pensiero ricorrente che non riesco a superare. Per esempio, continuo a pensare che una medaglia possa diventare persino fattore positivo, se inseguita in un certo modo, se vissuta in un certo modo: aiuta a darsi una motivazione, aiuta a porsi degli obiettivi, aiuta a sacrificarsi e a faticare per raggiungere un premio, tutti processi dell’anima che comunque nella vita andranno affrontati. Ed è qui che mi arriva subito il secondo pensiero: trovo profondamente ingiusto e sgradevole togliere le medaglie ai bambini per fermare quei pazzi degli adulti. Mi sembra una non-soluzione. Una turpe scorciatoia. Mi ricorda molto quegli assessori che vorrebbero eliminare l’inquinamento cittadino abolendo i limiti delle polveri sottili. Certo, può funzionare: togli la medaglia ai bambini e disarmi gli adulti che hanno dietro, lasciandoli senza ragioni fondate nella loro corsa idiota a vincere comunque.
C’è però una cosa che non posso proprio sopportare: togliere la medaglia ai bambini e lasciare così come stanno, pietose e vergognose, le cose nel demenziale mondo delle gran fondo. Siamo a questo punto: ai bambini diciamo che non si corre per vincere a tutti i costi, ma per partecipare, per socializzare, per divertirsi in armonia con il creato. Ai loro papà, ai loro zii, ai loro nonni lasciamo invece lo spettacolo deprimente delle finte corse per finti corridori, con finti ordini d’arrivo, finte imprese, finte premiazioni (è tutto vero, purtroppo, compreso il doping selvaggio: definisco finto il mondo delle gran fondo perché patetico surrogato del mondo professionistico).
Presidente Di Rocco, bisognerà spiegarla, questa cosa, ai ragazzini. Bisognerà dire che loro devono fare sport in modo spassionato e leale, mentre i loro papà e i loro zii e i loro nonni possono continuare tranquillamente a combinare porcherie, a inscenare pietose tattiche, a massacrarsi senza esclusione di colpi, certamente anche a doparsi, nelle domeniche dell’evasione. Presidente, vada avanti lei. Lo spieghi con parole sue. Io non ce la faccio: non c’è niente che mi faccia più vergognare delle bugie cretine raccontate ai bambini. Personalmente, mentre i bambini ci guardano, io riesco a dire soltanto questo: ragazzi, tranquilli, non siete voi da educare. Sono i grandi da rieducare.
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