Editoriale
LA FEDERAZIONE NON SERVE. Tutto bene, avanti così, i numeri sono dalla nostra parte: perché lamentarsi? In cinque anni, dal 2007 ad oggi, in Italia sono sparite 501 gare tra internazionali, nazionali e regionali. Solo nell’ultima stagione sono venute a mancare 109 gare regionali. Probabilmente dietro a questi dati c’è una sottile strategia: liberare le strade dalle biciclette che intralciano il traffico e rendono le nostre domeniche invivibili. E poi c’è il problema dato dalla sicurezza: troppi sono i morti sulle strade. È ormai risaputo: il ciclismo è sport pericoloso. Quindi la Federazione ha deciso di affrontare il problema alla radice. Pian piano, con risoluta fermezza, stanno facendo di tutto affinché in Italia non si organizzino più corse. Meno gare, meno incidenti e problemi. D’altra parte il ciclismo agonistico ha stufato. Basta medaglie, coppe e trofei: molto meglio i cicloraduni, le randonéé, le passeggiate con amici solo per il gusto di farle. L’idea non è per niente male, perché per fare questo tipo di ciclismo non serve essere organizzati. Non serve nemmeno una Federazione.

CAUSA AZZURRA. Come si diceva un tempo: chi non è buono per il re non è buono nemmeno per la regina. Lo sostenevano i nostri papà, soprattutto i nostri nonni, per dire che chi veniva scartato da militare (quindi non buono per il re), non poteva pensare di essere buono per poter svolgere una vita normale e ambire a conquistare una bella donna (la regina). Lo stesso discorso dovremmo farlo e lo facciamo per Coni e Federciclismo che si sono allineate al volere della Wada con una legge retroattiva per altro respinta dal Tas, che chiude le porte della nazionale ai corridori che in passato hanno avuto una squalifica superiore ai sei mesi. Quindi questi corridori, che non sono buoni per la patria, alla patria non dovrebbero più dare niente. Invece, grazie a gran parte di loro, l’Italia del pedale si è garantita cinque corridori (il massimo) per la prova in linea alle olimpiadi di Londra. L’Italia ha infatti ottenuto i primi cinque pass olimpici nel ciclismo su strada, grazie al terzo posto occupato nel ranking UCI World Tour maschile, aggiornato dopo il Giro di Lombardia. La classifica dell’Unione Ciclistica Internazionale vede infatti l’Italia (con 1.172 punti), dietro Spagna e Belgio e quindi nella Top Ten dei Paesi che potranno beneficiare di 5 posti nella prova olimpica in linea.
In base al ranking ufficiale sono Michele Scarponi (5°), Vincenzo Nibali (11°), Ivan Basso (17°), Damiano Cunego (21°), e Marco Pinotti (40°), gli azzurri a occupare attualmente i posti Nazione. Due di questi l’azzurro potranno vederlo solo dipinto sulle pareti di casa loro, ma sono serviti eccome alla causa azzurra.

CONTATI E PESATI. È il mese delle classifiche, dei ranking, delle nuove licenze di World Tour che saranno attribuite grazie a sofisticatissimi calcoli algoritmici di cui si ignora in pratica tutto. Dall’anno scorso i corridori sono tornati a portare punti, quindi hanno un valore per quei team che sperano di poter entrare tra i primi diciotto a condizione che abbiano i conti a posto e una “fedina penale” pulita, e poter così ambire ad una licenza nel più importante circuito ciclistico professionistico. Un anno fa ad esultare erano stati i corridori, soprattutto i loro procuratori. Noi non eravamo tra questi. Subito manifestammo le nostre perplessità, non per altro, ma per l’assoluta mancanza di chiarezza di questo sistema a dir poco antisportivo che rende forte solo l’Uci, grazie ad un software – fatto ad hoc per stilare classifiche incomprensibili - secretato al pari della storica ricetta della Coca Cola. Risultato? Squadre come la Geox di Gianetti o la Ag2r di Vincent Lavenu, hanno ingaggiato in queste settimane corridori improbabili, che hanno guadagnato punti in Asia ma che pesano esattamente come quelli fatti dai loro colleghi europei. La Geox ha messo sotto contratto l’iraniano Mehdi Sohrabi e l’uzbeko Muradjan Halmuratov, numero uno e due nella classifica asiatica. Stesso discorso per l’iraniano Amir Zargari, il russo Boris Shpilevsky e lo sloveno Gregor Gazvoda, numeri tre, cinque e sei della stessa graduatoria. La cosa ridicola - la dicemmo anche un anno fa - è che al termine della stagione c’è una classifica stilata a fine ottobre e un’altra, che stabilirà le licenze per il 2012, redatta ai primi di novembre. Una semplicemente virtuale quella di (ottobre) che decreta il team più forte del mondo (Omega Pharma, Lampre settima, Liquigas ottava) e un’altra a (novembre) fatta in base ai trasferimenti dei corridori. È come se il Milan campione d’Italia, cedesse a campionato vinto Ibrahimovic, Robinho, Pato e Cassano e ad agosto perdesse il diritto a partecipare alla Champions League perché a detta dell’Uefa l’organico rossonero non è più competitivo. Insomma, nel ciclismo il risultato sportivo al termine di una stagione non conta assolutamente nulla. Per l’Uci contano i punti: che ogni tanto vengono contati e in altre occasioni pesati. Il modo peggiore per dare garanzie agli sponsor.

Pier Augusto Stagi
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