Editoriale
PERCHÉ? Brevissima precisazione ma doverosa. In questo numero abbiamo affidato a Fabio Perego il compito di esaminare e commentare la disastrosa trasferta azzurra ai mondiali di Danimarca. Qualcuno storcerà il naso: perché proprio Fabio Perego? Perché è un tecnico. Perché sa di cosa si parla. Perché da anni è impegnato nella sua Regione (la Lombardia) a promuovere una pratica desueta. Perché è appassionato. Perché non le manda a dire. Perché è chiaro. Perché è vero che è un procuratore, ma è altrettanto vero che non ha interessi in ambito della pista. Perché ha il suo lavoro e non si sogna minimamente di togliere il pane di bocca a nessuno. Perché se qualcuno ci vede della malafede è forse perché della malafede ci fa una ragione di vita. Perché “excusatio non petita, accusatio manifesta”, ma è meglio essere chiari. Perché come leggerete a pagina 96, non è stato assolutamente tenero. Perché per alcuni Perego non è un vero tecnico. Ma perché quelli che hanno condotto gli azzurri in Danimarca sono tutti da considerare tali?

NI’. Siamo per la chiarezza. Per poche regole e chiare. Se è possibile per il bianco o il nero. Per i sì o i no: soprattutto in materia di doping. Invece, il 2 aprile scorso, dal campione B delle urine di Vania Rossi è uscito un preoccupante nì. «Prima non lo sapevamo, ora sì e per questo abbiamo subito informato la Wada di una novità che ha evidenti connotati scientifici: nelle urine il CERA si degrada prima che nel sangue». Così ha commentato Francesco Botré, il direttore del laboratorio antidoping di Roma, la «non positività» dell’atleta azzurra. Dopo aver riscontrato livelli di CERA “significativi” nel campione A delle urine del test del 10 gennaio scorso di Vania Rossi, si è trovato di fronte ad un inatteso colpo di scena in sede di controanalisi, anche se ha assicurato che «non significa che nel campione B, il CERA non ci fosse». In parole povere: il CERA c’è ma è sotto i limiti previsti dal regolamento Wada. C’è però anche una «non positività». Siamo border line. Siamo al limite di una brutta figura: è proprio così che si scredita la lotta al doping.

È CALCOLO. Il papà di Eugenio Bani mi ha scritto una educata mail in merito a quanto scritto nell’editoriale del numero scorso. Mi ero limitato a dire che sono per la mano pesante con i corridori più giovani (pene proporzionali all’età) e, soprattutto, avevo consigliato al giovane Bani a non lagnarsi. Chi si professa pentito, deve essere in grado di accettare qualsiasi tipo di verdetto. Anche perché chi si pente, ammette di fatto una colpa. D’altra parte non siamo al mercato del pesce e non mi è mai piaciuto l’assioma: parlo - confesso - mi pento, così mi fanno lo sconto. Questa non è presa di coscienza: è calcolo.

IN NOME DI NICOLO’? Da qualche giorno su facebook è nato un gruppo (http://www.facebook.com/group.php?gid =113922711965155) che ha come scopo quello di sensibilizzare la Federazione Ciclistica ad intervenire sulla sicurezza nelle corse dei ragazzi. Due anni fa Nicolò Ferrari, 12 anni, morto in seguito ad un incidente durante la fase di riscaldamento. Ad oggi, il Consiglio Federale, il Centro Studi o altri organi della Federciclismo non hanno trovato il tempo per discutere e “normare” una chiusura del traffico prima delle competizioni, per fare in modo che questi ragazzi possano prepararsi in sicurezza ed evitare il ripetersi di simili tragedie. Ho raccolto l’appello di uno dei promotori, Fausto Piccini, e lo ringrazio.

INTENDIAMOCI. Come in un riserva indiana, resistiamo contro tutto e contro tutti: solo che noi ­ indiani, non usiamo la tenda. Non la usiamo noi, tutti gli altri sì. Fabio Capello c.t. dell’Inghilterra ha messo a punto, secondo quanto ha rivelato il Daily Mail qualche settimana fa, un piano di avvicinamento al torneo in Sudafrica che prevede l’uso intensivo delle tende ipossiche: una pratica molto diffusa tra gli sportivi di alto livello, non vietata dal codice della Wada (l’agenzia mondiale antidoping), ma fuorilegge in Italia. La nazionale di Sir Fabio si è già attivata e di sicuro non sarà la sola a farlo. Il problema però non è perché Fabio Capello può usare le tende e Lippi no. L’anomalia sta nel fatto che la nostra Commissione Vigilanza Doping (CVD) del Ministero della Salute, presieduta dal dottor Giovanni Zotta, e che vanta come vice-presidente Sara Simeoni, e personalità del calibro di Josefa Idem (non male che un’atleta ancora in attività faccia parte di una commissione di vigilanza), Sandro Donati e Marco Arpino tra i dieci componenti, non abbia ancora mosso dito per uniformare la lista doping al resto del mondo. Invochiamo uniformità, poi noi restiamo deformi. La Commissione, che ha il dovere di aggiornare la lista di riferimento alla 376/2000 sul doping (ci risulta che l’ultimo aggiornamento risalga ad oltre due anni fa), da sempre ha inserito gli strumenti ipossici-ipobarici, tra i metodi vietati. Il CIO e la Wada no. Quindi, delle due una: o si aggiorna la lista italiana, o si fa in modo che il mondo intero, su dimostrazioni scientifiche prodotte dalla nostra Commissione, si adegui a noi. Ma non è tutto. Nella nostra lista - solo per la CVD - il bicarbonato è doping. Sì, il bicarbonato in fiale, perché per i nostri scienziati varierebbe il ph delle urine e di conseguenza altererebbe i controlli. Solo per gli scienziati italiani, perché Wada e Cio non la pensano assolutamente così. E c’è chi di recente ha sollecitato la CVD a inserire nella lista dei prodotti dopanti anche il bicarbonato in compresse, perché diminuirebbe la concentrazione dell’acido lattico, e di conseguenza andrebbe ad alterare la prestazione. Bicarbonato = doping: concetto difficile da digerire. In ogni caso parliamo di bicarbonato e di tende, affinché qualcuno intenda.

Pier Augusto Stagi
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