FUORI CONTROLLO. Laboratori regionali, laboratori nazionali, laboratori europei e mondiali, laboratori per tutti e contro tutti. Non è un mistero, piuttosto è una triste realtà: lo sport e il ciclismo in particolare sono ostaggi del doping e tutti sono costretti a correre ai ripari. È giusto. È oltremodo doveroso, anche se l’impressione che si ha è che si stia andando verso una “dipendenza” da laboratorio. Si combatte la droga e ci si dopa di laboratori antidoping. Non si pensa ad altro, non si fa altro, perché molti, moltissimi hanno scoperto che il doping è un affare, ma anche l’antidoping lo è: per enti e medici (loro stanno tranquillamente da entrambe le parti).
Ognuno fa qualcosa, ognuno dice la sua. Il 16 ottobre è stata siglata una nuova intesa fra ministeri e Coni. L’Italia è sempre più in prima linea nel campo della lotta al doping: i ministri della Salute, Livia Turco, e delle Politiche Giovanili e delle Attività Sportive, Giovanna Melandri, hanno sottoscritto con il presidente del Coni, Gianni Petrucci, un atto di intesa in materia di lotta al doping, allo scopo di rendere più efficace il sistema italiano di prevenzione e contrasto di questa piaga, creando un coordinamento tra la Commissione per la vigilanza e il controllo per la tutela della salute nelle attività sportive, istituita presso il Ministero della Salute e la Commissione Coni-Nado.
E non è tutto: il ministero della Salute ha deciso di incoraggiare le Regioni ad istituire Laboratori antidoping regionali: al momento è stato riconosciuto il primo Laboratorio regionale della Toscana; sono in via di accredito i laboratori del Piemonte e del Veneto.
Tutti sul piede di guerra quindi, tutti con il piede sull’acceleratore, per sconfiggere il male del Secolo che lo sport sta combattendo da sempre con esiti alterni.
Adesso la Wada (Associazione mondiale dell’antidoping), punta sull’australiano John Fahey, successore di Dick Pound. E mentre si parla di portare da due a quattro gli anni di squalifica, Jean François Lamour, candidato francese alla presidenza, si è dimesso dalla carica di vice-presidente e ha ritirato la sua candidatura. «La Wada ha fatto un passo indietro di dieci anni», ha tuonato indispettito l’ex ministro francese invocando la possibilità di partecipare alla creazione di un nuovo «organismo europeo» di lotta al doping.
Insomma, prolificano a dismisura laboratori e organismi di controllo, con un unico pericolo: a forza di controllori, il ciclismo e lo sport tutto rischiano seriamente di finire fuori controllo.
MANCA LA GIUSTIZIA. Della vicenda di Danilo Di Luca parliamo in maniera più estesa all’interno di questo numero, ma un paio di cose è bene precisarle. La prima: non è più tollerabile che i tempi della giustizia sportiva imitino quelli secolari della giustizia ordinaria. Non è tollerabile - secondo il nostro modestissimo avviso - che un’infrazione di tre anni fa vada a condizionare o meglio ad annullare tutti i punti di ProTour raccolti nel corso di questa stagione. Se la Liegi è restata a Di Luca, se il Giro è restato al campione di Spoltore, se i punti da lui conquistati sono restati al suo team (Liquigas) che ha chiuso al terzo posto nella graduatoria mondiale, per quale ragione l’Uci ha azzerato i punti racimolati dal corridore abruzzese in questo tribolatissimo 2007? Infine, un appello: rivedete la legge antidoping. Fate in modo che qualora un tesserato finisca nelle mani della giustizia ordinaria, in automatico il fascicolo vada per competenza e conoscenza sul tavolo del capo della Procura antidoping del Coni. Non ci possono essere dimenticanze. Ce ne sono già troppe. La più grossa? Mi limito alla più evidente: manca la giustizia.
IL MALE MINORE. In questi ultimi anni mi sono trovato spesso a pensare alla liberalizzazione del doping. In questo ultimo periodo credo che sia l’unica strada percorribile. Certo, mi piacerebbe pensare ad uno sport pulito, per tutti. Non mi piace affatto che mio figlio possa un giorno chiedermi di fare sport agonistico e per questo consegnarlo mani e piedi a qualche furfante in camice bianco che lo gonfia come un tacchino, ma vista la piega che sta prendendo lo sport, visti gli interessi, la politica, le iniquità, le ingiustizie perpetrate ogni giorno, l’uso strumentale che si fa dei casi di doping, le Operacion Puerto, i dubbi su Valverde, gli Amigo de Birillo, tutto il ciclismo spagnolo, quei corridori e quelle squadre che vengono avvertiti prima di un controllo a sorpresa, quei team manager mai giudicati, nonostante le loro ammissioni e le loro omissioni e poi presi a modello, perché hanno un modello infallibile di antidoping all’interno della propria squadra da mettere a disposizione di tutti, bene, quando penso a tutto questo, mi viene voglia di liberalizzare il doping almeno nel mondo del professionismo. Sarebbe la cosa migliore, il male minore. Non la cosa più giusta, ma la migliore. Migliore di questa presa in giro.
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