Nell’ultima pagina del giornale, vorrei ci fosse uno spazio dedicato all’impresa di Paolo Bettini. Teatro del grande gesto è Stoccarda, ma ovviamente non sono così avvinazzato da riferirmi al Mondiale. Parlo di un’altra vittoria, meno eclatante e meno celebrata, ma dal mio punto di vista ugualmente storica: la querela.
Siamo di fronte a un fatto epocale. Un campione dello sport decide di rispondere ai sospetti e alle accuse trascinando in tribunale i firmatari di sospetti e accuse. La televisione ZDF per aver sostenuto che Sinkewitz, ex gregario dell’iridato, avrebbe parlato di un doping consumato con lo stesso capitano. In aggiunta, l’assessora allo sport Heismann per aver sostenuto, pure lei presentando ricorso in tribunale, che Bettini non era degno di correre a casa sua, non avendo firmato la famosa carta etica, quell’esilarante documento Uci in cui i ciclisti giurano sulla propria pulizia. Per la cronaca: Bettini ne ha sottoscritta una versione solo modificata dai suoi avvocati. E sempre per la cronaca: a sottoscriverla, prima del Tour, si sono affrettati i Vinokourov e i Rasmussen, tanto per dire. Come se Cicciolina firmasse il documento che garantisce la sua verginità. Ma andiamo avanti.
Voglio chiarire: non sto qui ad applaudire Bettini perché ho le prove che abbia ragione lui. Ovviamente, non posso averle. La verità deve stabilirla un giudice. Ma la grandezza e la novità stanno nella decisione di procedere, chiamando gli avversari a risponderne. Sono totalmente bettiniano: la reputazione è l’unico patrimonio che ci resta e ci sopravvive, per difenderla dobbiamo essere disposti a tutto.
Purtroppo, quello di Bettini diventa un passo eclatante perché matura in un ambiente e in un’era storica totalmente ammosciati. In questi anni, di fronte alle accuse e ai sospetti più infamanti, ho sentito soltanto piagnistei, mugugni e minacce sotterranee. Ho visto volare gli stracci. Ho assistito a prese di posizione durissime, ma sempre e soltanto a chiacchiere. Di più: ho imparato, peraltro non solo nel ciclismo, che i cuordileone dello sport, quando si sentono offesi, reagiscono proclamando un livoroso silenzio stampa. Contro il mondo intero. Ovviamente, anche contro chi non c’entra nulla. Ma purtroppo il costume è questo: comodo, eclatante, ma anche un po’ codardo.
Come la penso io? Che cosa farei io? Se interessa, io credo fermamente che nella vita sia fondamentale - anzi un dovere civico - assumersi le proprie responsabilità. Nel caso specifico: se un tizio mi offende, io non me la prendo con tutta la sua categoria. Me la prendo con il tizio. Lo fermo, lo guardo negli occhi, gli spiego i termini dell’offesa. Eventualmente, lo mando dove li manda Grillo. Magari lui mi prende a sberle, ma questo cambia poco. Punto e a capo.
So benissimo che è molto più comodo e tranquillo il silenzio stampa. Un giornalista sbaglia, tutti pagano. Proprio un bel sistema: il sistema migliore per dire a chi fa bene il mestiere che tanto è inutile affaticarsi, perché alla fine serietà e precisione non contano, finisce tutto nel calderone del silenzio stampa. Tutti uguali sotto il machete: chi sbaglia e chi non sbaglia. Troppa fatica, troppa responsabilità affrontare a quattr’occhi l’autore dell’errore.
Poi arriva Bettini. Anch’egli potrebbe adottare un bel silenzio stampa, contro questo mondo bastardo che lo infanga. Potrebbe avercela con giornali e televisioni che riportano i termini dello scandalo. Invece no. Il toscanello risale la corrente vorticosa della parole e arriva alla fonte. Quindi, imbraccia l’arma che la legge gli mette a disposizione: la causa legale. Davanti a un giudice, le mie ragioni contro le tue. E decida lui chi ha ragione. Se per caso hai torto tu, che non riesci a provare seriamente le insinuazioni sul mio conto, stavolta paghi. Così funziona in una società civile, così si fa tra uomini. Veri.
Ovviamente, siamo all’anno zero. Spero solo che Bettini non resti solo. Che tanti altri corridori lo seguano. Che finalmente la piantino col facile vittimismo e vadano dritti sul bersaglio di chi offende a gratis. Però attenzione: presentare querele è facilissimo, vincerle è tutto un altro discorso. Per vincerle, bisogna avere ragione.
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