CONTENTI LORO... I nostri lettori, i nostri amici di tuttoBICI hanno considerato la fiction su Pantani «così così». Tantissime le e-mail, molte le lettere, strepitoso il risultato del sondaggio da noi lanciato sul sito tuttobiciweb.it che ha visto più di 18 mila appassionati esprimersi in merito. Ha prevalso la voce «così così», con il 39% dei voti, mentre il 33% ha considerato questo lavoro «brutto». Tanti, ma ad ogni modo minoranza, quelli che si sono dichiarati soddisfatti: per il 28% la fiction è risultata «bella».
Molti mi hanno chiesto un giudizio. Sarò telegrafico: l’ho considerato un film privo di pathos e troppo frettoloso. In definitiva: un brutto film. In questo lavoro ho ritrovato poco del Pantani campione, troppo poco del dramma di Marco. Mi si dirà: in 100 minuti è difficile raccontare la vicenda umana e sportiva di un personaggio complesso come Marco Pantani. Ribatto: ho visto film di 100 minuti («L’Ultimo volo», film-documento di Umberto Nigri, prodotto da Sky) che sono riusciti a raccontare storie bellissime.
Bonivento voleva ridare agli sportivi il vero Pantani, e ci ha
propinato una soap scritta male e interpretata peggio (il libro di Pier Bergonzi, Davide Cassani e Ivan Zazzaroni, ottimo lavoro, è stato appena sfiorato). Chi conosceva la storia del Pirata ne è rimasto profondamente deluso, chi non la conosceva non so cosa possa aver capito. È piaciuto, e molto, ai genitori di Marco: contenti loro…
DALLA SVIZZERA VERSO L’IRLANDA. La rubrica dell’Uci, curata da Enrico Carpani, è lì tutta da leggere: «Le regole devono valere per tutti. Sempre». Siamo alla resa dei conti. La frattura tra i Grandi Giri e il Governo del ciclismo mondiale è ormai evidente. Il cerino, nelle prossime ore, passerà nelle mani dei team manager e dei loro datori di lavoro (leggi sponsor).
Giro, Tour e Vuelta fuori legge. Così almeno li considera l’Uci, il massimo organismo mondiale. È datata 20 febbraio la presa di posizione dell’Aso, la società che organizza la Grande Boucle, che non riconosce più il massimo organismo mondiale e ha messo in scena la Parigi-Nizza sotto l’egida della Federazione francese e il Ministero dello Sport.
Ma cosa è successo? Tutto ha inizio due anni e mezzo fa, quando l’Uci decide di varare il nuovo circuito del ciclismo professionistico denominato ProTour. Nelle intenzioni il progetto è buono. Una sorta di Champions League su due ruote: venti team, i più forti del pianeta, che grazie a garanzie finanziarie, sportive ed etiche, hanno il diritto di partecipare alle più importanti corse. Nel progetto ci sarebbe anche la vendita del «pacchetto» dei diritti tivù da parte dell’Uci e la conseguente ridistribuzione dei proventi ai team. Questo nelle intenzioni, perché i tre Grandi Giri fanno blocco comune e stoppano sul nascere l’insana idea: «Le corse sono nostre, e i diritti ce li gestiamo noi», dicono all’unisono. Vi risparmio gli anni di litigi, promesse e colpi bassi. Si arriva al marzo dello scorso anno, quando Paolo Dal Lago, presidente di Liquigas, si impegna in prima persona con alcuni importanti sponsor a svolgere un delicato lavoro di mediazione. Si arriva ad una intesa, che viene firmata in pratica da tutte le componenti: Grandi Giri, squadre, sponsor, corridori, ma non dall’Uci, che rivendica l’ultima parola.
In pratica al ProTour si imputa un meccanismo antisportivo, troppo chiuso. Si trova nella riduzione delle licenze da 20 a 18 e il conseguente aumento degli inviti (leggi wild-card), l’auspicata via d’uscita. L’Uci non ci sente e va contro anche alle squadre di ProTour, e a dicembre concede altre due licenze: si resta a 20.
È la classica goccia che fa traboccare il vaso. L’Uci da una parte, i tre Grandi Giri dall’altra, in mezzo schiacciati da un folle gioco al massacro le squadre e i corridori che non sanno più a che santo votarsi.
Cosa potrebbe succedere? In parte sta già succedendo. I tre grandi Giri hanno rinnegato il ProTour non iscrivendo le loro corse a questo circuito. Adesso l’Uci potrebbe togliere dal calendario Giro, Tour e Vuelta, oltre alle classiche da loro organizzate (Sanremo, Roubaix, Liegi ecc). Il passo successivo? L’Uci potrebbe far pressione sui team e sui corridori, “invitandoli” a non prendere il via a queste corse, pena squalifica. Le squadre e i loro sponsor miliardari difficilmente accoglieranno il minaccioso invito. Il ProTour è morto, le squadre e il ciclismo non vogliono fare la stessa fine. La parola spetta ora ai team: o tenersi questo Governo e questo ProTour, o cambiare direzione e orientamenti, e in questo caso la strada pare obbligata. Soprattutto quella di Pat Mc Quaid: dalla Svizzera verso l’Irlanda.
DA PONTE SAN PIETRO. Ci ha provato anche Gian Luigi Stanga, a trovare un punto d’incontro. Ci ha provato con una lettera, un vero e proprio «documento tecnico di riconciliazione». L’ha spedita all’Uci, ma il Governo delle due ruote l’ha stoppato sul nascere. Cosa chiedeva Stanga con questo documento? Un periodo - due anni - di riflessione, consentendo nel frattempo la ripresa delle corse, del dialogo e la conseguente ricerca di soluzioni condivise.
In parole povere i Grandi Giri in questi due anni avrebbero dovuto accettare di far parte del ProTour con le loro corse e di contro avrebbero avuto la possibilità di usare cinque wild-card, a patto di riconoscere tutte e venti le squadre di ProTour. Al fine di contribuire in modo tangibile alla partecipazione di 5 squadre Professional alla Parigi-Nizza e alla Tirreno-Adriatico, le squadre di Pro Tour, per quest’anno e il prossimo, si sarebbero impegnate ad accettare una riduzione del rimborso spese del 50%. Insomma, il loro messaggio era chiaro: aggiungiamo qualche posto a tavola, ma per voi la spesa sarà la stessa. Lo stesso discorso per Giro d’Italia e Vuelta: 20 squadre di ProTour con 8 corridori (anziché 9) e 12 accompagnatori, in modo da consentire agli organizzatori di invitare 5 squadre Professional di 8 corridori più 8 accompagnatori. Niente da fare, L’Uci ha risposto a Stanga senza tanti giri di parole: grazie per l’interessamento, ma le regole le facciamo noi. Enunciato: le regole le fa l’Uci. Domanda: chi è disposto a rispettarle?
Pier Augusto Stagi
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