Editoriale
VENTI DI GUERRA. Pensano tutti al Tour. Tutti vogliono correrlo, nessuno escluso. Dopo due anni di liti, il ciclismo si ritrova al punto di partenza, come in un infinito gioco dell’oca. Da lì eravamo partiti due anni fa con il progetto ProTour, lì ci ritroviamo sfiniti e avviliti. E dire che il grande circuito del ProTour era nato per rimettere un po’ d’ordine, per riqualificare un ambiente scaduto da ogni punto di vista, per dare delle garanzie ai team manager che ogni anno si ritrovavano senza nulla in mano e soprattutto senza una certezza da “vendere” ai loro sponsor. Correremo il Tour? Correremo Giro, Vuelta e le classiche monumento? Con il ProTour, grazie alle sue licenze, queste garanzie erano date in maniera forte, chiara e pluriennale. Questo circuito avrebbe dovuto anche portare ricchezza, grazie alla vendita dei diritti televisivi, e avrebbe anche dovuto spalmare o meglio ridistribuire i diritti televisivi del Tour de France sul resto del movimento. C’era chi sosteneva che tutto il baraccone ciclopedalatorio doveva elevarsi a livello del Tour e altri che ritenevano opportuno togliere un po’ di potere e di “grandeur” ai francesi, per ristabilire un equilibrio: verso il basso, s’intende. «Bisogna ridimensionare un po’ i francesi» dicevano a gran voce tanti, e molti ancora lo pensano. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il Tour de France è lì, più forte e più radioso di prima, capace di catalizzare ancora tutte le attenzioni e soprattutto di condizionarle. Nessuno rinuncia alla Grande Boucle e loro, i francesi, non rinunciano a farlo pesare e notare, restando platealmente fuori dal ProTour, assieme a Giro e Vuelta. Qualche settimana fa un documento “a reti unificate” firmato Grandi Giri: «…noi riconosciamo le 18 squadre di ProTour e per questo diamo a loro il diritto di partecipazione, non il dovere. Chi vuole venire viene, chi non vuole se ne stia a casa», questo in sintesi. Il risultato? Tutti vogliono andare al Tour, al Giro e alla Vuelta un po’ meno, ma ci andrà chi veramente ha voglia di onorare queste due corse, lasciando posti preziosi a quei team di seconda fascia (leggi team Professional, come Panaria, Acqua & Sapone, Tenax, Tinkoff ecc…), che vedrebbero di buon occhio questa soluzione. Le squadre di ProTour, a loro volta, si erano espresse: «al momento ci sono18 squadre e 18 vogliamo restare». Detto e non fatto. L’Uci pensa bene nel giro di pochi giorni a rimettere i numeri a posto concedendo altre due licenze: «Decidiamo noi, porca l’oca! Venti licenze c’erano, venti saranno anche il prossimo anno». Venti di guerra…

BASSO VALE MOLTO. Siamo sempre lì, al punto di partenza anche con la questione Basso. Ripartiamo per una nuova stagione con problemi irrisolti, che dovrebbero essere archiviati e invece sono riproposti con regolare puntualità dal nostro ambiente. Altro che giornali e giornalisti, il male del nostro movimento, adesso come adesso, siamo noi. Noi intesi come addetti ai lavori, come ristretto villaggio globale incapace di capire che le invidie e i rancori personali spesso vanno lasciati nel cassetto del comò di casa. Eppure ci sono squadre che non si danno pace, che non vogliono prendere atto di una realtà molto elementare: Ivan Basso è l’unico corridore ad essere stato giudicato da un tribunale sportivo, e alla fine riconosciuto estraneo - per il momento - ai fatti a lui imputati. Non ci si può accanire, non è tollerabile continuare questo gioco al massacro: per Basso ma anche per tutto il movimento. Non ci basta quello che è successo a Marco Pantani? Il ciclismo non ha forse già pagato un prezzo molto, troppo alto? Certo, Marco è arrivato a farsi del male come pochi, a isolarsi e a circondarsi di persone che per il suo bene poco potevano fare, ma vi ricordate quello che ha dovuto sopportare? Ci ricordiamo il rancore, le cattiverie sul suo conto, come se l’ambiente del ciclismo fosse estraneo e diverso dal campione romagnolo? Ho e abbiamo già visto. Ho e abbiamo già dato. Ho già provato quel profondo senso di nausea e disgusto che ti prende proprio alla bocca dello stomaco e che solo al pensiero provo ancora oggi, come ieri. È vero, Ivan è diverso. È soprattutto circondato da persone di tutt’altra pasta: ha una moglie che adora e due bimbi adorabili. Ha la fortuna di disporre di un buon rifugio, ma non si può portarlo all’esasperazione: o è proprio a questo che certe squadre mirano? Forse perché è scomodo, o più semplicemente e meschinamente perché è troppo più forte degli altri? E dire che nel MotoGp Valentino Rossi fa ombra a tanti, ma dal cono d’ombra ha portato fuori tutti: da Capirossi a Melandri, passando per Hayden e Pedrosa. Tutti parlano solo e soltanto di Rossi, ma da qualche anno, e sempre di più oggi, anche di chi finisce alle sue spalle, o di chi riesce persino a strappare il mondiale al campione pesarese. Vale fa bene al motociclismo, perché lo stesso non vale per Basso e il ciclismo?
Pier Augusto Stagi
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