Ganna: «Un Giro al top per Mister G e poi... Parigi»

di Giulia De Maio

Gamba piena e cuore pure. Filippo Ganna si presenta al via del Giro d’Italia con buone sensazioni e una nuo­va compagna. Non si tratta della sua fedele Pi­na­rello, ma di Rachele che da qualche tempo scalda il cuore del campione verbanese che è pronto a vivere appieno l’amore infinito per la corsa rosa e non solo. In questa stagione non è ancora riuscito ad alzare le braccia al cielo, ma è sereno come non mai e da questo me­se in poi il calendario presenta gli ap­puntamenti clou in cui è atteso prima in maglia di club e poi azzurra.
Super Pippo nelle prossime tre settimane si godrà il pubblico che lo acclamerà da Venaria Reale a Roma e con la Ineos Grenadiers, che per la classifica generale punta su Geraint Thomas, vuole raccogliere il più possibile, vale a dire vittorie di tappa. Al momento è a quota 6 con 5 giorni in maglia rosa. Il 27enne titolare del record dell’ora ha un menu ricco ad attenderlo: dopo 21 giorni su e giù per l’Italia ha infatti nel mirino l’ambizioso progetto di conquistare due medaglie olimpiche ai Giochi di Parigi 2024. In Francia andrà prima a caccia dell’oro in una prova che dura un’ora come la cronometro e poi nei 3 minuti e 42 secondi (o, si spera ed è plausibile, anche meno) a intensità pazzesca con i compagni di quartetto difenderà il titolo conquistato a Izu nel 2021 nell’inseguimento a squadre su pista. «Sono un po' Jacobs e un po’ ma­ratoneta». Più semplicemente, è Filippo Ganna.
Com’è andata la stagione finora?
«Mi ero prefissato l’obiettivo di andare bene alla Milano-Sanremo e di farmi trovare pronto per il Giro, piano azzeccato. Alla Classicissima ho dimostrato di essere in forma anche se poi non ho raccolto nulla (un guasto meccanico e una foratura negli ultimi 5 chilometri lo hanno tagliato fuori dai giochi per la vittoria in via Roma, ndr). La giornata più difficile l’ho vissuta in Australia a gennaio, quando su un cavalcavia in una delle prime tappe del Tour Down Under mi stavo staccando dal gruppo, e dentro di me mi sono detto: “Se cominciamo così non ci siamo proprio”. L’inverno non era filato liscio co­me speravo, ma ora dopo una buona preparazione in altura sono ottimista per la seconda parte di stagione. Lo è anche il mio preparatore e direttore sportivo Dario David Cioni».
Finora Van der Poel e Pogacar l’hanno fatta da padroni.
«Sono forti, c’è solo da sperare di batterli quando incontreranno una giornata no. Quando sia io che loro siamo al top, l’olandese e lo sloveno sono un gradino sopra al sottoscritto e al resto del mondo, detto che hanno caratteristiche differenti da me quindi certi pa­ragoni lasciano il tempo che trovano. Con Tadej non posso proprio competere, con Mathieu un po’ di più ma peso sempre 10 chili in più di lui e quando la strada sale si sentono».
Anche le cadute hanno inciso. Vin­gegaard, Evenepoel, Roglic, Van Aert: sono tutti fermi per incidenti più o meno gravi. Co­sa si può fare per migliorare la sicurezza?
«Finchè noi atleti non freniamo c’è poco da fare, spesso è colpa nostra. Ri­spetto al passato si prendono più ri­schi, forse le bici sono più estreme e qualcuno non le guida benissimo. Quando sei in gara non ci pensi, se vedi in tv certe cadute tremi, però poi passa. Si può fare più attenzione, si possono segnalare meglio i pericoli. Per il resto siamo e resteremo pelle, ossa e lycra. Non mi immagino un ciclismo con più protezioni sul corpo dei corridori».
Cosa ti auguri per il Giro ormai alle porte?
«Di trovare bel tempo, vivere tre settimane sotto l’acqua come l’anno scorso non è il massimo, e di raccogliere più risultati possibili sia in prima persona che con G (Geraint Thomas, ndr). Gli da­rò una mano per conquistare la ma­glia rosa che un anno fa perse nel finale da Primoz Roglic, spero davvero che sia l’anno buono anche per lui. Correre al suo fianco mi ha insegnato ad essere più spensierato e a reagire alle avversità, a non mollare e a tenere duro quando la ruota non sembra girare per il verso giusto. Ricordo alla Vuelta 2023 quando dopo l’ennesima caduta voleva ritirarsi e non lo fece, arrivammo a Madrid insieme».
Pogacar ha già vinto?
«Di sicuro sarà un bell’osso duro, l’uomo da curare in tutto per tutto e per come si presenta è il favorito indiscusso ma in una corsa di tre settimane può succedere di tutto. Noi ci presentiamo al via con una squadra forte e un capitano esperto, cercheremo di rendergli la vita dura. Personalmente punterò al­le crono in programma alla tappa 7 e 14, ma non solo. Voglio godermi il pubblico, farlo divertire. I fans sono coloro che rendono speciale il Giro, da italiano che si corra in Italia è un valore aggiunto. I ricordi più forti che ho legati al Giro riguardano il contatto con gli appassionati, il tifo ricevuto lungo la strada, un affetto unico».
La rinuncia di questi mesi che ti pesa di più?
«Essere sempre in macchina tra ritiri, gare e impegni vari come i test dei ma­teriali svolti in galleria del vento a ri­dosso del 25 aprile è impegnativo, ma prima di partire per il Giro mi sono concesso una giornata di relax prima di 21 “a tutta”. In generale cerco di trascorrere una vita normale, senza rinunce esasperate, l’equilibrio è l’unico mo­do per poter reggere questi ritmi. An­che dopo la corsa rosa, a parte due giorni di stacco che saranno necessari per corpo e mente, non mi concederò chissà quale stravizio. I Giochi Olim­pici sono un obiettivo che vale ancora di più della corsa rosa, resterò concentrato».
I portabandiera azzurri per Parigi2024 saranno Gianmarco Tamberi e Arianna Er­rigo. Sogni un giorno di avere il privilegio provato da Viviani a Tokyo nel 2021?
«Obiettivamente sarà dura perché Los Angeles 2028 sarà l’ultima Olimpiade per me. Sarebbe un sogno, ma è difficile perché tutte le federazioni meritano a turno di avere un loro campione co­me capitano della spedizione azzurra. L’importante comunque è esserci e portare a casa medaglie (Pippo è candidato alla prima medaglia azzurra dei Giochi di Parigi il 27 luglio nella cro­nometro, ndr). Il movimento italiano a Tokyo ha fatto vedere quanto è forte, riusciremo a farci valere anche que­sta volta. Ho letto critiche per Marcell Jacobs perché ha gareggiato poco, ma nel momento più importante c’era e ci sarà. Non si vincono due medaglie d’oro in una rassegna olimpica per grazia divina...».
Il Giro e i Giochi sono eventi seguitissimi, anche dai più piccoli.
«Sì, noi atleti possiamo ispirarli ed è una responsabilità. Io non posso dire di essere un esempio da seguire, non portare a termine gli studi resta la mia sconfitta più grande, ma a un bambino o una bambina che dovesse trovarsi nella situazione che ho vissuto io anni fa direi: “Se qualcuno ti mette i bastoni tra le ruote non ascoltarlo e vai avanti per la tua strada. Se hai un sogno, fai di tutto per realizzarlo”. Anche se è difficile, anche se ti trovi ad affrontare ostacoli che al momento ti sembrano insormontabili».
Come la dislessia.
«Esatto. Io sono stato convocato in Na­zionale al mio primo Mondiale a 17 anni. Per allenarmi e gareggiare saltai l’inizio delle lezioni. Avevo seri problemi di dislessia e al ritorno a scuola ho chiesto un percorso di recupero per le verifiche e le interrogazioni mancate. Dai professori ho ricevuto chiusura to­tale: “O studi il doppio e ti scordi lo sport o hai chiuso”. Mi sono scordato la scuola. Mi spiace per i ragazzi co­stretti a scelte drastiche come la mia. Mi spiace che lo sport in Italia valga ancora così poco. È stupendo che sia entrato nella Costituzione, ma nella quotidianità dovrebbe essere incentivato e valorizzato di più».
Hai mai pensato di rimetterti a studiare per conseguire il diploma?
«Sinceramente no, ho mollato in quarta superiore e ho imparato di più nella vita che a scuola. È brutto da dire ma certe esperienze non si insegnano, almeno non nel nostro Paese e con certi professori, almeno per quella che è stata la mia esperienza. Magari nei college americani nei quali se sei uno sportivo viene valorizzato il tuo percorso atletico oltre a quello sui li­bri... La mia fortuna è stata la famiglia, che mi è sempre stata vicina. Mamma Daniela, papà Marco (olimpionico nel­la canoa nel 1984, ndr) e mia sorella Carlotta non mi hanno mai fatto mancare il loro affetto e l’aiuto per superare le difficoltà. Hanno creduto in me anche quando ho preso la decisione di lasciare la scuola, scelta discutibile an­che agli occhi dei miei compagni di allora, tra cui ci sono alcuni dei miei mi­gliori amici».
In un’altra vita che sport praticheresti?
«Pisolinaggine, se esistesse (ride, ndr). La realtà è che ne abbiamo una sola e ho la fortuna di aver scelto al cento per cento quello che volevo».
Ora sei concentrato totalmente sul Giro o pensi alle due medaglie d’oro olimpiche che potresti far tue?
«Ogni tanto la testa va a Parigi, anche perché certi traguardi si costruiscono nel tempo, ma come per le grigliate non puoi mettere sul fuoco tutta la car­ne in un colpo solo se no bruci di sicuro qualcosa, così per gli importanti appuntamenti prefissati quest’anno devo viverli step by step, un passettino dopo l’altro».
Se fossi un animale, saresti...?
«Mi piacerebbe essere un panda che non fa niente da mattina a sera se non mangiare, ma quando assumo questo stile di vita in inverno, dopo una settimana di stop vorrei già trasformarmi in una gazzella che corre leggera e veloce nella savana (ride, ndr)».
Il claim del Giro è amore infinito. A proposito di amore, hai una tifosa speciale in più?
«Oltre che con la “gamba piena” possiamo dire che parto con il cuore pieno, tanto».

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