Editoriale

NON SPARATE SUL VELOCISTA. È andato piano, molto piano. Ha deluso, tantissimo. Per l’ennesima volta siamo stati i campioni del mondo del giorno prima. Per l’ennesima volta il Mondiale è stato ricorso mille e più volte con il videoregistratore alla mano, e ognuno ha potuto dire la sua. Se avesse fatto così, se avesse fatto cosà, se tizio avesse tirato, se quello avesse aspettato, se se se... Il giudizio più chiaro e disarmante è stato fornito però dal diretto interessato, dall’uomo che non c’era: Alessandro Petacchi, simbolo di questa sconfitta madrilena. «Sono andato piano, non avevo le gambe, non ho attenuanti ed è tutta colpa mia». E poco importa che Marco Velo abbia cercato disperatamente di porre rimedio con goffe bugie e giustificazioni da asilo espresse solo nel dopocorsa, per altro. «Non ha chiuso occhio, Ale non ha dormito per la sinusite e la tosse, cosa poteva fare di più?».
Intanto se fosse stato così - ma così non è stato -, avrebbe dovuto dirlo. Invece Alessandro alla domanda di Franco Ballerini: come hai dormito? Ha risposto: «Come un sasso». E come persona perbene qual è - non quindi da opportunista bugiardo -, nel dopo corsa si è sottopposto alla sua bella lapidazione. Sulla sinusite, il raffreddore, il catarro, caliamo invece un Velo pietoso.
Non è nemmeno giusto far passare Petacchi per un egoista, per chi pensa ai fatti suoi e non dice niente a nessuno. Una delle grandi accuse al trionfatore di Sanremo è stata proprio quella di non aver parlato, di non aver detto per tempo che non si sentiva in giornata. La verità non è esattamente così. Chi conosce bene Alessandro, e Velo, Bernucci, Tosatto lo conoscono benissimo, sa che Ale è un lagnone cronico. Tanto è vero che a sessanta chilometri dal traguardo Alessandro, sollecitato dal ct a dire come stava, risponde: «Normale». Normale come? È Velo a fugare ogni dubbio: «Lasciate perdere, state tranquilli, Ale non vi dirà mai “sto benone”»... Pensano: è il solito Peta. Si lamenta e poi li legna in volata. Nel tranello ci saremmo caduti anche noi. Il problema è che Alessandro avrebbe dovuto essere più esplicito, questo sì.
Adesso, però, non si spari sul velocista: Petacchi non è un mezzo corridore, che vince solo le corsette, che non tiene alla distanza e non regge le pressioni: la Sanremo l’abbiamo già dimenticata? Anche Erik Zabel, Robbie McEwen, Thor Hushovd tanto per citare qualche nome, hanno maledettamente deluso: non sono forse anche loro dei fondisti veloci di primo livello? Facciamocene una ragione: il Mondiale l’abbiamo perso perché Petacchi non era quello che tutti abbiamo imparato a conoscere da quattro anni a questa parte. È una disamina troppo semplicistica e poco tecnica? Ci sembra la più aderente alla realtà. Speravamo tutti di veder sfrecciare Ale Jet sul traguardo di Madrid lanciato da un fantastico treno azzurro, e invece abbiamo preso una terrificante tramvata.


IL VERO SENTIRE DEI SORDI. Amarezza e delusione a Lucca e tra le istituzioni territoriali che hanno promosso il progetto della grande stagione mondiale in Toscana, dopo l’annuncio che la sfida iridata del 2008 si terrà sulle strade di Varese. «Sulla decisione finale - ha osservato il vicepresidente ed assessore allo sport della Provincia di Lucca Antonio Torre qualche ora dopo l’annuncio dell’assegnazione - siamo in molti a credere che abbiano prevalso l’aspetto commerciale, il peso degli sponsor e gli interessi economici molto forti».
Purtroppo, decisioni come queste dimostrano come i vertici dirigenziali del ciclismo internazionale siano sempre più lontani dal “vero sentire” degli appassionati».
Questo per la cronaca. Ma sempre per la cronaca occorre precisare alcune cose. Candidatura Toscana (Lucca, Viareggio, Peccioli... e chi più ne ha più ne metta), un agglomerato di intenti più che di concrete intenzioni. Un circuito improponibile (quello versiliese), con le uniche difficoltà altimetriche garantite da una rampa dell’autostrada. Infine, così tanto per mettere un altro puntino al suo posto, la tanto decantata cultura sportiva invocata a gran voce dal comitato Toscano, avrebbe voluto portare la sfida iridata sulle strade della Versilia senza nemmeno coinvolgere il corridore simbolo: Mario Cipollini. Reclamano il “vero sentire” degli appassionati, e sono loro i primi a far orecchi da mercante.

DECIDERE DI NON DECIDERE. Mondiale ad agosto, circuiti più selettivi, degni di una sfida iridata: queste sono le priorità. Fino a questo momento solo per la stampa, non per i dirigenti del ciclismo mondiale che hanno salutato l’elezione dell’irlandese Pat McQuaid, “delfino” di Hein Verbruggen, il presidente uscente, che questa rivoluzione sciagurata introdusse con la speranza di rendere il ciclismo più visibile, appetibile, nell’arco di tutta la stagione: da gennaio ad ottobre, per intenderci. Risultato? da dimenticare: esperimento miseramente fallito. Come del resto fallita è la mondializzazione del movimento. Ma non solo: che dire del progetto coppa del Mondo che a fatica aveva preso piede e che proprio il presidente uscente ha deciso di decapitare dopo diciotto anni? E dell’introduzione dei punti in un ciclismo di ragionieri che ha trasformato e distorto il valore dei corridori (valutati 1 milione di lire a punto) e che ha poi portato i tecnici, calcolatrice alla mano, a perseguire logiche aritmetiche anziché tecniche?
E della pista mai rilanciata, del dialogo con le Federazioni storiche semplicemente inesistente, dell’eliminazione di fatto del movimento dei dilettanti, con l’introduzione di una sola categoria élite, che ha posto come unica discriminante i corridori con e senza contratto? Tutto questo perché si voleva un ciclismo moderno, globalizzato, senza barriere ma con la nascita del «Pro Tour», questi steccati sono diventati muri di cemento armato invalicabili: da una parte un movimento iper-professionistico; dall’altra tutto il resto. Troppo poco prima; troppo adesso.
Toccherà a Pat McQuaid, ex professionista amico di Stephen Roche, cercare di sistemare le cose, ricompattando e armonizzando il movimento attorno al suggestivo progetto del «Pro Tour». Il Congresso ha deciso di non decidere. Nel 2006 tutto rimarrà come quest’anno: stesse regole, stesse incertezze, stesse richieste, speriamo che nei prossimi dodici mesi diverse siano le risposte.
Pier Augusto Stagi
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