Slongo: «Lasciamo Vincenzo libero»

di Giulia De Maio

Libero. Così vuole correre Vin­cenzo Nibali. Come un cavallo di razza a cui mettere le briglie è non solo difficile ma controproducente. Questa sarà la chiave dell’ultima parte di una carriera che già gli ha consegnato un posto nella storia del ciclismo mondiale. Animato dalla grinta e dalla motivazione dei giorni migliori, lo Squalo vuole che il suo 2021 non abbia nulla a che vedere con il 2020, quando non si è mai sentito veramente super e ha chiuso il Giro d’Italia settimo, lontano dal podio che ormai da anni è casa sua. Il suo storico preparatore Paolo Slongo ci confida la parola chiave che permetterà al campione italiano più titolato in attività di regalarci e re­ga­larsi ancora grandi soddisfazioni. Il direttore sportivo della Trek-Segafredo ci svela i piani del trentaseienne siculo su cui l’Italia continua a fare affidamento in attesa che emerga un suo de­gno erede che possa giocarsi un grande giro.
Com’è il bilancio del primo anno con il nuovo team?
«Grazie a persone capaci e idee condivise ci siamo ambientati facilmente in un gruppo di lavoro già affiatato e mol­to professionale. Per tutti è stato un an­no davvero anomalo e difficile. Ab­biamo vissuto due stagioni in una, la seconda compressa in tre mesi. Nella prima eravamo in tabella con le aspettative, avevamo iniziato un po’ prima rispetto al passato e alla Parigi-Nizza ci siamo dimostrati competitivi. Eravamo sulla strada giusta. Il lockdown ci ha stordito: per un lungo periodo siamo rimasti in stand by, non sapendo quando sarebbero ripartite le corse. Tra l’azzardo di continuare a lavorare come da programma o stare fermi, abbiamo op­ta­to per la via di mezzo, continuando ad allenarci senza esagerare. Col senno di poi forse la programmazione poteva essere diversa. Il team è stato diviso in gruppi di lavoro, cercando di limitare gli spostamenti e i rischi du­rante i viaggi in aereo. Abbiamo deciso di disputare solo le gare in Italia, anche se per un corridore maturo come Vin­cenzo più corse a tappe lo avrebbero aiutato ad arrivare più in forma al Gi­ro, ma sarebbe stata comunque una scommessa. Avesse preso il virus a causa di una trasferta all’estero, avremmo mandato tutto all’aria».
Era un’incognita.
«Esattamente. Alla ripartenza abbiamo trovato Deceuninck Quick Step, Jum­bo Visma e Astana una spanna sopra a tut­ti, dopo venivamo noi e Ineos. Nelle prime corse ci siamo ben piazzati ma non siamo mai stati vincenti. A seguire siamo stati colpiti dalla sfortuna. Prima del Giro Ciccone è risultato po­si­tivo al Covid, durante la corsa rosa sono caduti Brambilla e Weening. Ad ogni modo, onore a chi ha vinto. I valori di Vin­cenzo non sono stati da buttare, tutt’altro, ma abbiamo preso atto che nelle tre settimane c’è stato chi è andato più forte».
La squadra femminile con la “tua” Elisa Longo Borghini ha chiuso il 2020 al pri­mo posto del ranking mondiale.
«Nello specifico seguo lei da anni e, dalla stagione scorsa, la campionessa na­zionale francese Audrey Cordon. Sia­mo due team in uno, uomini e don­ne in Trek-Segafredo condividono ritiri, metodi, allenatori e questo dà forza all’uno e all’altro gruppo. Il costante confronto, merito dell’intelligenza di Guercilena e dell’azienda madre, è stimolante e genera una bella sinergia. Eli­sa ha avuto delle stagioni un po’ buie ma quella vista nell’anno da poco concluso non è una novità, è il suo standard. In passato si ammazzava di lavoro, si sentiva in dovere di fare sempre di più e non metteva a frutto le sue sensazioni. Se le dicevo di svolgere un allenamento lungo ed era stanca lo faceva lo stesso, ora si ascolta di più. Mi chiama e riduciamo l’intensità o sta direttamente a casa, cosa impensabile fino a qualche tempo fa. Quando fai un carico di lavoro, devi dare il tempo al corpo di assimilarlo. Il suo motore era già buo­no, ha imparato a farlo funzionare al me­glio».
Torniamo a Vincenzo. Come sta trascorrendo l’inverno?
«Da campione quale è. Di testa vuole affrontare la nuova stagione sen­za por­si pressioni o obiettivi. Vuole tornare a correre libero come nei primi anni da professionista, quando sfruttava l’occasione per portare a casa tutto quello che si poteva. Da quest’anno avremo un approccio diverso, voluto da lui e condiviso dal team. Per esempio, se andrà al Giro punterà alle tappe senza l’assillo della maglia rosa. I risultati che otterremo saranno la conseguenza di questo nuovo approccio. Sta svolgendo palestra con continuità, tre volte alla settimana. Si appoggia al Re­hability di Lugano, centro di fisioterapia e medicina sportiva dove si trova be­nissimo. Due giorni esegue un circuito incentrato su resistenza e forza massima, un giorno a corpo libero per migliorare la forza esplosiva. Alterna il lavoro al chiuso a uscite in bici, su strada, in mtb e soprattutto in gravel. La cosa più difficile alla sua età è trovare nuovi stimoli, quando sei da tanti anni a questi livelli - nessuno credo sia stato costante quanto lui negli ultimi 12 anni - la routine tra corse e ritiri può pesare. Lui invece è ancora entusiasta e ha trovato la giusta tranquillità. Ha voglia di andare in bici».
E di vincere.
«Vincenzo è nato per correre in bici. Per lui il ciclismo non è un lavoro, quando lo diventa si rattrista e si fatica a gestirlo. Chiaramente ha degli impegni e degli obblighi da rispettare, ma idealmente a lui piacerebbe vivere co­me quando era junior e under. Lui vorrebbe solo correre, essendo un professionista del suo calibro deve invece far quadrare tante cose in un equilibrio spesso instabile. Il cambio generazionale è normale e non ci ha sorpreso. Andando ad analizzare la stagione scorsa quelli della sua fascia di età che hanno dominato i Grandi Giri e le classiche negli anni scorsi hanno vissuto tutti un calo di prestazione. Froome, al rientro da un brutto incidente, ma an­che Dumoulin, Quintana e molti altri hanno avuto un’annata ben peggiore di quella di Vincenzo. Indi­pen­dentemente dalla freschezza anagrafica, Bernal probabilmente ha pagato la pressione di arrivare al Tour con il pro­nostico sulle spalle. Sarà una magra consolazione ma così è. La top ten ottenuta al Giro non è il piazzamento che voleva né lui né noi ma resta un risultato di valore e rappresenta uno stimolo da cui ripartire per dimostrare che il suo rendimento degli ultimi tempi è dovuto solo ad un anno strano. Enzo non ci sta ad al­zare bandiera bianca e fa bene perché oltre alla testa c’è anche con il fisico. È ancora assolutamente competitivo».
Lo confermano i test effettuati?
«Sì. A dicembre ne abbiamo svolto uno sulle strade del Ticino e uno in laboratorio al Centro Ricerche Mapei Sport di Olgiate Olona (Varese), prezioso partner del team. Ci teniamo molto, i valori che emergono a inizio stagione sono fondamentali per impostare le zone di lavoro e programmare allenamenti mirati. Vogliamo crescere in modo progressivo per essere brillanti fin da subito. La squadra ha deciso di non correre a gennaio e di restare in Europa a febbraio, evitando trasferte extracontinente. L’esperienza dell’anno scorso ci ha insegnato che con questo virus, che ha scombussolato le vite di tutti noi, si può convivere. Le bolle fun­zionano e i vaccini stanno arrivando. Noi continueremo con tutte le precauzioni del caso, dovremo svolgere il nostro mestiere in modo diverso ma sono fiducioso che si possa disputare una stagione più regolare di quella passata».
Dal 9 al 25 gennaio sarete in ritiro al De­nia Marriott La Sella, in Spagna.
«Sì, allenarsi al caldo fa la differenza. Già il mese scorso abbiamo perso un po’ di terreno rispetto a rivali che han­no iniziato la preparazione con un cli­ma più mite di quello di casa nostra ma c’è tutto il tempo per recuperare. Se­condo la nuova mentalità adottata, Vin­cenzo vuole partire più forte, se arrivasse una vittoria tra febbraio e marzo sarebbe importante per il morale. Per quanto riguarda gli allenamenti, se prima c’era un progetto più schematico, ora ci stiamo facendo guidare più dalle sue sensazioni. Tutti si aspettano tanto da lui, ma sarebbe stupido non tenere conto della carta d’identità, per questo è giusto cambiare atteggiamento e lasciare Vincenzo più libero».
A breve ufficializzerete i programmi, ma un punto fermo dovrebbero essere i Giochi Olimpici di Tokyo.
«Erano già un obiettivo nel 2020, ov­via­mente ci teniamo ad esserci e ci im­pegneremo per arrivarci al meglio. La medaglia a Rio è sfuggita per un errore o sfortuna, in Giappone il percorso sarà altrettanto esigente quindi adatto a un atleta con le sue caratteristiche. Ab­biamo deciso di non porci obiettivi ma neanche limiti. Se una volta ti avrei detto “puntiamo a Liegi, Giro e Olimpiadi” senza ricorrere a tanti giri di parole, ora la nuova filosofia impone di lasciare perdere i proclami. Evitiamo di crearci più pressioni di quelle che sempre ci saranno attornoa Vincenzo e che inevitabilmente iniziano a pesare anche per lui. Co­noscendolo, posso garantire però che, finché lo Squalo avrà un numero attaccato alla schiena, darà sempre il massimo».

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