Ulissi, un uomo da Oscar

di Giulia De Maio

Diego Ulissi è stato il mi­glior professionista italiano del 2020. Sempre co­stante nel rendimento anche in un anno tormentato, il toscano della UAE Emirates è stato il più bravo da gennaio a ottobre. Secondo al Down Under, nono all’UAE Tour, quinto al Giro di Polonia, ottavo a Il Lombardia, primo con due vittorie di tappa al Tour de Luxembourg, prima di vincere due tappe al Giro d’Italia d’autunno, la seconda con arrivo ad Agrigento e la tredicesima con arrivo a Monselice. Diego, che si chiama così perchè il pa­pà ha sempre adorato Maradona, do­mina l’Oscar tuttoBICI Professio­nisti e conquista il Gran Premio Vit­toria, avendo la meglio su due amici e compagni di allenamento come Gia­como Nizzolo e Vincenzo Nibali. Con quest’ultimo che si è già prenotato per una grande rivincita il prossimo anno...
Come stai Diego?
«Bene, grazie. Dopo il Giro sono andato in Toscana qualche giorno a trovare i miei genitori e suoceri che non vedevamo da mesi, ora sono a Lugano con Arianna e le nostre piccole Lia e Anna. Ormai sono in netta inferiorità numerica in famiglia, le donne hanno preso il sopravvento nella mia vita (ride, ndr). In questo periodo ne approfitto per fa­re il papà e rilassarmi. Dopo aver staccato un po’, mi sono concesso pe­dalate tranquille, solo per rimettermi in moto, soprattutto in mtb e in compagnia del­lo Squalo. A breve inizierò la preparazione più specifica, dopo aver letto il calendario e parlato con la squadra. Negli ultimi anni avevo sempre iniziato in Australia, nel 2021 però il Tour Down Under non ci sarà quindi saremo senz’altro costretti a cambiare pia­no».
È stato un anno indimenticabile sia a li­vello agonistico che personale.
«Sì. A febbraio mentre ero ad Abu Dha­­bi per l’UAE Tour, la prima corsa fermata per Covid, è nata Anna. Ho vissuto due settimane di paura, frustrazione e gioia, emozioni intense e contrastanti che non dimenticherò mai. I primi giorni in quarantena sono stati i più difficili, in Italia scoprivamo cos’era il coronavirus, era una novità, ed es­serne travolti così lontano da casa, con compagni e membri dello staff della mia squadra che stavano male, è stato davvero difficile. Ognuno aveva mo­men­ti di sconforto però ci siamo dati forza e coraggio l’un l’altro, porteremo sempre con noi quest’esperienza che mai avremmo immaginato di vivere».
Quanto ti è dispiaciuto mancare al parto di Arianna?
«Non posso spiegarlo a parole, ho sofferto molto. Diventare padre per la se­conda volta è stato magnifico, ma farlo a distanza via skype è stato allucinante. Ho passato una notte senza dormire, in attesa di notizie da mia moglie. Sono stati attimi bellissimi ma difficili, avrei voluto vivere questa stupenda emozione con la mia famiglia e non aspettando una videochiamata. I giorni successivi non sono stato bene e ho sofferto di stress, ma l’ho superato grazie alla voglia di tornare a casa quanto prima.  Riabbracciare le mie donne al ritorno è stato impagabile. La famiglia è la punta della mia piramide. Le bambine mi han­no cambiato tantissimo la vita, in primis perché alla mattina ci si alza presto. Essere padre è straordinario, con loro riesco a superare i momenti difficili. Pensi a farle stare serene e tranquille, e così allenti la pressione e riesci a fare meglio anche tutto il re­sto».
Come andare forte in bici.
«La giornata più bella di quest’anno vissuta a livello agonistico è stata la seconda tappa del Giro d’Italia. Vin­cere ad Agrigento, già al secondo giorno, mi ha dato morale e la consapevolezza di essere in condizione. Come si suol dire, è stato un inizio “in discesa”. Riuscire poi a ripetermi, portando a ot­to il numero di vittorie al Giro in carriera è stato il massimo (il primo hurrà in rosa di Ulissi risale a Tirano 2011, poi ci sono state Viggiano e Monte­co­piolo 2014, Fiuggi 2015, Praia a Mare e Asolo 2016, prima della doppietta di quest’anno, ndr)».
Quanto hai vissuto in primavera cosa ti ha insegnato?
«A dare più valore alle cose semplici, che contano davvero. Un’esperienza del genere cambia la prospettiva con cui guardi il mondo, la percezione delle priorità. Ora me ne rendo conto so­prattutto quando sto tanti giorni via da casa, in questo periodo davvero ci si de­ve aspettare di tutto. Quando abbiamo ripreso l’attività dopo la prima on­data della pandemia, mi sono sentito al sicuro alle corse, ma un po’ di preoccupazione l’avvertivo sempre. Dovendo tornare a casa, sentivo e sento la re­spon­sabilità di non portare questo ma­ledetto virus in famiglia...».
A tuo avviso, il ciclismo come ha gestito l’emergenza sanitaria?
«Molto bene. Come movimento abbiamo avuto pochi casi, segno che la bolla è stata creata ad opera d’arte e ha tenuto. Ci siamo sottoposti a tanti tamponi, prima di andare alle gare e nel corso delle competizioni c’è stato molto controllo. Tutte le componenti del mondo del ciclismo hanno svolto un grandissimo lavoro, riuscendo a portare a termine tutti e tre i grandi giri e un gran numero di corse importanti. Ci siamo ritrovati a convivere con questo problema da un momento all’altro, magari in vista dell’anno nuovo potremo aggiustare il tiro su qualche aspetto organizzativo, ma si tratta di piccole cose. Le poche positività emerse in gruppo di­mostrano che rispetto ad altri sport ce la siamo cavata molto bene. Ora l’importante è continuare e fare ancora me­glio, mettendo a frutto l’esperienza di questa stagione».  
Hai vinto l’Oscar tuttoBICI, faremo fe­sta quando si potrà...  
«In generale c’è ben poco da festeggiare, abbiamo vissuto tutti qualcosa di surreale, tante famiglie per colpa del vi­rus hanno perso persone care, ora co­me ora di festeggiare non ne ho gran vo­glia, però è stato senz’altro un anno importante e il premio che ogni anno mette in palio la vostra testata giornalistica è prezioso perché sancisce che sei ai vertici delle classifiche mondiali. L’ul­timo l’avevo conquistato nel 2016, prima me ne ero aggiudicati tre nelle categorie giovanili, da allievo e da ju­nior (nel 2006 e 2007 quando vinse due mondiali consecutivi, ndr). Devo vincerne almeno un altro tra i grandi per pareggiare i conti».
Hai un suggerimento per i giovani che lottano per conquistarlo, tra gare sospese e didattica a distanza?
«Stiamo vivendo un momento difficile per tutti, ma il ciclismo insegna a non mollare mai e a guardare sempre avanti. Il Covid-19 passerà, come succede sempre con le cose brutte. Speriamo che un vaccino efficace arrivi presto e ci possa permettere di tornare ad essere sereni. L’incubo prima o poi finirà e ognuno potrà tornare a inseguire i propri sogni. Personalmente sono soddisfatto delle corse che ho vinto fin qui e non credo che a 31 anni sia tempo di bilanci, ma semmai di rilanciare le am­bizioni. Non coltivo rimpianti, nel ciclismo ho sempre messo tutta la passione che ho dentro, spremendo il 100% di me stesso. Quando hai dato tutto, sei un atleta felice, a prescindere dai risultati».
Dove metterai l’Oscar che ti consegneremo?
«Troverà posto nel salotto di casa, vicino a quello del 2016. Casa ormai è in­vasa da bambole e giochi delle bambine ma mi sono ritagliato il mio spazio. Durante il primo lockdown ho completato la mia “stanza palestra” con alle pareti appese tutte le maglie dei team e della Nazionale che ho indossato da professionista».
Nella nostra speciale classifica dedicata ai professionisti italiani hai battuto due colleghi e compagni di allenamento come Nibali e Nizzolo.
«Questa volta è toccato a me, se ne de­vono fare una ragione (ride, ndr). Ci tengono, eccome. L’Oscar è un premio che vale, a qualsiasi età. Ora riprendiamo a pedalare tutti insieme, poi torneremo a sfidarci e a collezionare punti».
Vincenzo vuole la rivincita, ma in tanti lo danno per finito.
«Macchè finito, queste sono chiacchiere senza senso. È un grande campione. Non serve che lo dica io, i risultati parlano per lui. Fino a che avrà voglia, sarà lì davanti a lottare con i più forti».
Giacomo invece avrebbe potuto diventare tuo compagno di squadra.
«Sai che ci ho sperato... Anche lui è un corridore con dei numeri, quest’anno è stato palese. Sono felice della sua vittoria al Campionato Europeo di Plouay. Dopo i successi di Trentin e Viviani abbiamo tenuto il titolo in Italia, come squadra abbiamo svolto un super lavoro e lui l’ha finalizzato al meglio».
Ha deluso Aru, ormai un tuo ex compagno a tutti gli effetti.
«Fabio è una bella persona, abbiamo passato tanti momenti insieme a Lu­ga­no. Merita di essere felice e di stare tranquillo. Come gli ho sempre detto, anche dopo il ritiro al Tour de France di quest’anno, la nascita della figlia sa­rà di grande aiuto. Gli voglio bene: gli auguro il meglio e di tornare a dimostrare quanto vale. Come tutti i professionisti, merita rispetto».
La UAE Emirates per il 2021 sarà ancora più forte.
«Già quest’anno siamo ai vertici delle classifiche mondiali, ci siamo aggiudicati la Grande Boucle con quel fenomeno di Tadej Pogacar e abbiamo chiuso al secondo posto assoluto per numero di vittorie al mondo. Ri­spetto alle passate stagioni abbiamo fatto passi da gigante. In vista dei prossimi anni ci siamo rinforzati ulteriormente con corridori che hanno grande esperienza e sanno vincere. Speriamo di crescere ancora e toglierci tante altre belle soddisfazioni».
Che obiettivi ti sei posto per il 2021?
«Non mi piace focalizzarmi su appuntamenti specifici. In generale voglio mi­gliorarmi, dando il massimo ad ogni ga­ra a cui prenderò parte. Mi auguro sa­rà un’altra annata super come è stata quella di quest’anno. Sono stato co­stan­te, voglio continuare così. Par­tecipare alle Olimpiadi è il sogno di qualsiasi atleta, ci tengo a volare in Giappone e dare il mio contributo alla causa azzurra. Devo dimostrare di an­dare forte e meritarmi la convocazione. Il percorso di Tokyo (sul quale vinse il test event andato in scena nel 2019, ndr) è esigente, non basterà presentarsi al cento per cento della condizione ma di più. Farò del mio meglio per es­sere competitivo, poi come sempre sa­rà la strada a decidere. A volte si vince, più spesso si prendono delle gran batoste. Nel ciclismo e nella vita è così».
Cosa ti auguri e auguri al ciclismo per l’anno nuovo?
«Auguro a tutti di tornare a poter stare insieme senza restrizioni. Il calore del pubblico ci manca. Non vedo l’ora di rivedere due ali di folla sulle salite mitiche, di potermi avvicinare a un bambino per firmare un autografo o scattare una foto insieme. Per il nostro sport è innaturale tenere lontani i tifosi dalla strada. Spero potremo tornare a riabbracciarci presto».
Come facciamo sempre alla Notte degli Oscar tuttoBICI, di cui quest’anno Die­go Ulissi sarà la stella più luminosa.

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