Van der Breggen. Anna, la regina del mondo

di Giorgia Monguzzi

Uno straordinaio asso pigliatutto. Anna Van der Breg­gen è l’assoluta dominatrice di questa anomala stagione 2020, la regina incontrastatata, la collezionatrice di ti­toli e di imprese. In poche settimane ha infilato titolo nazionale olandese, titolo europeo a cronometro, Giro Ro­sa e due maglie iridate. Un filotto ma­gico, fantastico, unico per la trentenne campionessa olandese che ha già deciso di ritirarsi al termine della stagione 2021 per dedicarsi al lavoro di direttore sportivo. E se qualcuno fa notare che Anna sia anche fortunata - al Giro Ro­sa è caduta Van Vleuten quando era al comando della generale, nella crono mondiale è uscita di strada Chloe Dy­gert (bruttissimo l’incidente della statunitense, le auguriamo un pronto re­cupero) quando era in vantaggio - la risposta è semplice: Anna Van der Breggen era lì a lottare per la vittoria, ha colto l’attimo ma anche in questo bisogna essere campionesse.

IL MONDIALE. A Imola, Anna van der Breggen ha conquistato due maglie iridate: dopo essersi aggiudicata il campionato del mondo a cronometro nella gara di apertura, è tornata ad alzare le braccia al cielo all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari imponendosi nella prova in linea. La trenteenne olandese, già numero uno al mondo nel 2018 e campionessa olimpica in carica, ha attaccato a 41 chilometri dal traguardo dopo il forcing della formazione olandese e, con un’impresa d’altri tempi, ha sbaragliato la concorrenza tagliando il traguardo con oltre un minuto di vantaggio sul resto delle pretendenti alla vittoria.
«Non mi sarei mai aspettata di portare a casa da Imola due maglie - ha raccontato commossa dopo il traguardo -. Per me sono stati davvero tre giorni da so­gno. Amo l’Italia per le sue belle salite e il buon cibo. Questa Regione e questo circuito, che mi ha regalato così tan­­ta gioia, resteranno per sempre nel mio cuore. Mi godo questo momento, davvero stupendo».
Alle sue spalle una Van Vleuten fantastica, che ha recuperato in pochissimi giorni dalla caduta del Giro d’Italia, e l’azzurra Elisa Longo Borghini, la sola capace di insidiare lo strapotere olandese in questa stagione.

GIRO DOMINATO. Pochi giorni pri­­ma del mondiale Anna Van Der Breggen si era portata a casa il suo terzo Giro Rosa dopo i trionfi ottenuti nel 2015 e nel 2017.
«È stata un’edizione strana, non solo perché spostata di due mesi causa la pandemia, ma soprattutto per il percorso. Non c’erano grandi salite, ma nemmeno tappe che si potessero addire ad un arrivo allo sprint. L’elemento più importante di tutti è stata la squadra, è stato fondamentale avere delle compagne in gamba che facessero un gran lavoro affinchè stesse nelle migliori posizioni. Le salite non erano troppo impegnative ma rischiavano comunque di fare male, le discese invece erano molto tecniche. Queste tappe ondulate mi sono piaciute molto, ma devo am­mettere che ho apprezzato in modo particolare quelle con le salite più arcigne che ci hanno chiesto di dare veramente tutto.»
E aggiunge: «Sono molto dispiaciuta per la caduta di Annemiek Van Vleu­ten, però da un certo punto di vista mi viene da dire che alla fine sono cose che capitano. Ogni giorno noi atlete affrontiamo delle sfide, cadiamo e ci rialziamo, quelle che è successo a lei poteva accadere a chiunque. Dopo la sua caduta però nel gruppo è salita una certa tensione, abbiamo come raggiunto la consapevolezza che avremmo po­tuto cadere in ogni momento e in men che non si dica saremmo uscite di sce­na. A quel punto è cambiata la strategia che avevamo tenuto fino in quel momento: prima dovevamo rincorrere sempre cercando di trovare ogni spazio possibile per attaccare, poi ci siamo trovate davanti. Ma alla fine penso che non sia cambiato così tanto lo spirito della corsa: alla partenza ognuno di noi voleva dare il meglio di sé e così abbiamo continuato a fare fino alla fine».
La riflessione continua: «Mi sono presentata a Grosseto con l’idea di portarmi a casa la vittoria, ma sinceramente non mi sarei mai immaginata che le co­se sarebbero andare in questo modo. Certo un po’ di rammarico c’è perché non sono riuscita a vincere una tappa, ma di positivo c’è il fatto che ho cor­so sempre davanti, mi sono sempre fatta vedere ed ero pronta per re­plicare ad ogni attacco. Il Giro Rosa è una corsa veramente bella, per importanza è paragonabile al Tour per gli uomini. Già da quest’anno avremo la possibilità di correre anche la Roubaix, per noi rappresenta un grandissimo passo avanti. In questi anni il ciclismo femminile sta affrontando una vera e propria rivoluzione: abbiamo più gare, hotel e mezzi di trasporto più belli, stipendi che forse non sono al livello di quelli degli uomini, ma che in alcuni casi incominciano ad avvicinarsi. Dobbiamo procedere in questa direzione, il ciclismo femminile deve cambiare e spero che continui a farlo in meglio. »

IL BILANCIO ROSA. L’intervista ad Anna Van Der Breggen offre l’occasione per stilare il bilancio della corsa rosa, una sfida impossibile lanciata da Beppe Rivolta e da tutta l’organizzazione nei confronti del mondo del ciclismo e della pandemia che rischiava di far chiudere baracca e burattini a tutti e quanti. Certo, bisogna ammetterlo, le concomitanze con Tour de France e Tir­reno-Adriatico non sono state d’aiuto, ma nonostante ciò il Giro si è fatto largo, spesso a spallate, reclamando la giusta attenzione.
Sulla carta doveva essere un percorso tranquillo, disegnato ad hoc da Rivolta e da Dino Salvoldi in modo da preparare le atlete al meglio in vista dell’appuntamento olimpico, poi i Giochi so­no saltati e... il percorso è rimasto.
Da Grosseto a Motta Montecorvino so­­no stati nove giorni intensi, ricchi di emozioni; dopo la cronometro a squadre inaugurale, le restanti otto frazioni hanno portato la corsa per tutto il Sud Italia, senza lasciare spazio nemmeno ad un metro di pianura. Non c’è stata nessuna grande salita, ma le asperità scovate dagli organizzatori hanno fatto non poco male alle gambe delle atlete, molte delle quali hanno dovuto alzare bandiera bianca. C’è stata la tappa del­lo sterrato in terra di Toscana, l’arrivo spettacolare in Umbria ad Assisi, si è passati nel Lazio con Tivoli e Ter­ra­ci­na, poi la Campania ed infine la Puglia con il gran finale a Motta Mon­tecor­vino.
Non è stato facile prendere accordi con le prefetture: no­nostante le numerose limitazioni, il pubblico ha fatto la sua parte. Ben distanziata e con le mascherine, la gente è scesa per le strade con palloncini e striscioni colorati per accogliere le cicliste. Una vera e propria festa che nulla ha avuto da invidiare al­le gare maschili, una scena che ha fatto emozionare il patron Rivolta che non lo riteneva più possibile.
Ogni frazione è stata un viaggio attraverso i luoghi nascosti dell’Italia, partendo dalla cronometro a squadre vinta dalla Trek Segafredo che ha regalato la prima maglia rosa ad Elisa Longo Bor­ghini, arrivando al gran finale di Motta Montecorvino in cui una fuga numerosa ha sorriso a Evita Muzic. Ma il do­minio olandese, come previsto, è stato anche quest’anno indisucutibile.
Già nella seconda tappa si era già capito che direzione avrebbe preso il Giro con una Annemiek Van Vleuten scatenata che ha letteralmente fatto mangiare la polvere a tutte quante nello sterrato. Sembrava destinata al dominio as­soluto e correva con quell’obiettivo quando una caduta nel finale nella settima tappa con arrivo a Maddaloni l’ha messa fuori gioco, costringendola al ritiro per una frattura al polso. A raccoglierne l’eredità è stata Anna Van Der Breggen che ha vinto nettamente il braccio di ferro con la polacca Ne­wia­doma: l’olandese ha dimostrato di essere una delle atlete migliori in circolazione, forte sia in pianura che nei falsi piani e pronta a combattere anche quando la strada inizia a salire. Newia­doma staccata di 1’14” è la conferma che anche il ciclismo polacco c’è e fa sul serio, men­tre il terzo gradino del podio occupato da Elisa Longo Bor­ghi­ni a 2’20”, è quella piccola fetta di or­goglio italiano che tanto ci mancava.
Durante le nove tappe del Giro Rosa abbiamo assistito al ritorno inarrestabile di Marianne Vos, giusto se per caso qualcuno mai si fosse dimenticato di lei che, come una vera cannibale ha fatto sue le tappe di Assisi, Ter­ra­cina e Nola, stravincendo sia in salita che in volata e mettendo in cassaforte la ma­glia a punti. La lezione l’ha imparata bene Lotte Lopecky che per diverse tappe ha dovuto accontentarsi di un podio, per poi riuscire a vincere soltanto a Maddaloni, eclissata purtroppo dal ritiro della maglia rosa.
Se da una parte è stato il Giro delle olandesi, dall’altra è stato sicuramente quello dell’Équipe Paule Ka. La squadra, solo pochi mesi fa Bigla Katusha, è riuscita a portarsi a casa un bel successo di tappa con Lizzie Banks: la simpatica britannica, protagonista di un podcast seguitissimo e specializzata in tifo da stadio, dopo la vittoria nell’edizione passata sul traguardo di Ma­niago, ha fatto bis a Tivoli nella frazione più lunga sorprendendo un po’ tutti quanti. Ma è Mikayla Harvey il gioiellino che il team svizzero custodisce con cura: l’atleta neozelandese, che ormai da diverso tempo risiede in Italia, ha portato a termine un Giro per certi ver­si perfetto. Sempre nelle prime posizioni, con diversi podi e sempre all’attacco. Certo, è mancata la vittoria, ma il dominio assoluto nella classifica della maglia bianca è il segnale più che chiaro che nei prossimi anni sentiremo mol­to parlare di lei.

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