Davide Ballerini, un lupo in crescita

di Carlo Malvestio

L’impressione è che per gli anni a venire l’Italia abbia le spalle scoperte per quanto concerne il reparto classiche. Nelle ultime settimane Davide Ballerini si è fatto largo all’interno della Deceu­ninck Quick-Step, sfruttando le occasioni che gli si sono presentate e scalando pian piano le gerarchie. Che fosse un grande talento lo si sapeva già, fin dai tempi dell’Androni-Sidermec, ma rispetto ad altri corridori ha avuto bisogno di più tempo per ingranare e capire di avere le potenzialità per di­ventare un atleta di fascia alta. Lo scorso anno in Astana aveva mostrato qualche lampo di classe, anche se l’unica vittoria era arrivata con la maglia della Nazionale ai Giochi Europei di Minsk, e adesso, con la corazzata belga, sembra aver trovato il terreno ideale per fare quell’ultimo step che possa permettergli di lottare coi migliori sui palcoscenici più importanti.
Prima del lockdown aveva corso solamente la Volta Valenciana e Le Samyn, a causa di un’indisposizione che lo aveva costretto a saltare la Volta ao Al­garve, ma dopo lo stop forzato è tornato tra­sformato. Al Giro di Polonia si è presentato come ultimo uomo di Fabio Jakobsen, ma quella tragica prima tap­pa che ha messo fuori gioco l’olandese gli ha permesso, di fatto, di diventare lo sprinter della Deceuninck per la trasferta polacca. I risultati sono andati sopra ogni più rosea aspettativa: «Durante la seconda tappa ho deciso di provare a gettarmi in volata, da solo, senza aiuto dei compagni, ma ho chiuso terzo acquisendo comunque molta fiducia - ammette Ballerini -. A quel punto anche il team ha deciso di supportarmi con il treno e infatti, nell’ultima tappa di Cracovia, ho conquistato un bel successo davanti ad un signor velocista come Ackermann».
A quel punto è arrivato l’atteso Cam­pionato Italiano, in cui il quasi 26enne comasco ha dato una dimostrazione di forza importante, facendo la selezione decisiva sul muro in pavé de La Tisa e rendendosi poi protagonista di una bella volata, chiusa al secondo posto alle spalle di Giacomo Nizzolo, ma con un punto di domanda al quale probabilmente mai potremo rispondere.
«Un secondo posto ai Campionati Italiani brucia, è normale che sia così. Ho avuto una grande squadra, con Masnada all’attacco e poi un grande Andrea Bagioli a tenere alta l’andatura. Su La Tisa abbiamo provato a fare la differenza per far staccare più velocisti possibili, però non è stato abbastanza. Poi in volata non avevo più gamba negli ultimi 50 metri. Avevo impostato lo sprint su Colbrelli, ma poi Nizzolo è spuntato a sinistra e non c’è stato nulla da fare».
In molti però si chiedono se quella piccola doppia impennata prima del traguardo, interpretata come un’esultanza anticipata, sia stata decisiva per fargli perdere la corsa. Quando vinse il Me­mo­rial Pantani nel 2018 in maglia An­droni, infatti, fece un gesto molto simile prima di alzare le braccia al cielo. Ballerini, dal canto suo, respinge al mittente le insinuazioni di una celebrazione prematura (e anche se fosse così, probabilmente, farebbe bene a non ammetterlo): «Non avevo proprio più gambe negli ultimi 50 metri. Quella al Memorial Pantani fu un'impennata di gioia, questa di rabbia. Nizzolo è co­munque un grande amico, un punto di riferimento da quando sono passato professionista. Viviamo vicino, nel Can­ton Ticino, e ci alleniamo spesso insieme. Ha meritato la vittoria».
A conferma dell’ottimo rapporto tra Ballerini e Nizzolo è arrivato poi, tre giorni più tardi, il Campionato Europeo di Plouay dove, dopo un’ottima condotta della Nazionale Italiana per tutta la gara, l’atleta della Deceu­ninck ha lanciato alla perfezione nello sprint il corregionale, che ha fatto doppietta andando a prendersi anche la maglia di Campione Europeo. Il me­stiere dell’apripista, come detto, lo aveva imparato con lo sfortunato Ja­kobsen: «Ho lavorato molto con Fabio Jakobsen e non vedo l'ora di tornare a farlo. Il suo incidente è ancora fresco nella mia mente e se ci penso, in volata, mi viene da tirare il freno. Stiamo correndo anche per lui in questo periodo. Siamo esposti a tanti pericoli, ma dobbiamo essere convinti di quello che facciamo senza pensare troppo alle conseguenze. Purtroppo per la squadra è un periodo nero, perché oltre a Fabio si sono infortunati abbastanza gravemente anche Evene­poel, Cattaneo e Lam­paert, motivo per cui la squadra è stata costretta a cambiare i piani».
Proprio per questo lo vedremo al Giro d’Italia, che sarà solamente il suo se­condo Grande Giro in carriera dopo la Corsa Rosa del 2018 in maglia An­dro­ni. Questo però vuol dire che non sarà al Giro delle Fiandre e alla Parigi-Roubaix, corse che sembrerebbero adattarsi molto bene alle sue caratteristiche.
«Avrò tempo per tornarci. Con i miei tecnici abbiamo deciso di andare al Giro che, inutile dirlo, è sempre una grande emozione per un italiano. Non vedo l’ora di partire».
In ogni caso, sotto l’egida di Patrick Lefevere e Davide Bramati, siamo sicuri che il comasco potrà crescere ulteriormente e trovare la sua dimensione. Cacciatore di classiche? Velo­cista resistente? Ballerini sembra essere un ciclista completo, in grado di andare forte su più fronti: «Questa è una squadra di un altro pianeta, una famiglia con un clima fantastico. Ho già fatto almeno uno step in avanti rispetto all'anno scorso: mi sto riscoprendo un buon velocista, ci sto lavorando molto. Senza disdegnare ovviamente la salita, che gra­zie ai miei preparatori riesco a non trascurare e allenare bene». Insomma, un degno componente del Wolfpack.

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