Editoriale

CIAO FELICE

di Pier Augusto Stagi

Ho avuto una grande fortuna: aver conosciuto Felice Gimondi. Aver guadagnato la sua stima, amicizia e fiducia. E questo mi basta.
È stato il mio campione, il primo eroe a pedali che ho seguito con trepidante passione. L’uomo senza macchia e senza paura che lottava contro l’Invincibile Eddy Merckx. Non mi piaceva vincere facile, ma con Felice si vinceva, eccome se si vinceva. E di soddisfazioni ce ne siamo tolte tante. Uso il plurale perché i campioni e i tifosi sono un’unica cosa. Pedalano assieme, sognano assieme e i tifosi di Felice erano un’unica cosa: una famiglia, una religione, una fede.
Ho perso un amico, una persona alla quale ho voluto profondamente bene. È stato il mio regalo di promozione di terza media, prima della prima vera bicicletta da corsa. Era il 1976 e come dono chiesi di poter andare in piazza Duomo a festeggiare da vicino il mio beniamino per la terza volta in carriera fasciato di rosa. Il giorno precedente io davo l’orale, mentre lui, il Felice da Sedrina, bruciava Merckx e compagnia sul traguardo della sua Bergamo. Poi l’ultima tappa, con la crono da Arcore ad Arcore e la passerella finale con un circuito davanti al Duomo. Immagini indimenticabili, ricordi dolcissimi per un ragazzino di tredici anni che aveva incominciato a sognare in biancoceleste qualche anno prima, quando vedeva Felice filare via veloce sulla sponda protetta del Lago di Endine, quella tranquilla di San Felice, Monasterolo e Casazza. Io che lì trascorrevo parte delle mie vacanze lo vedevo passare quasi tutti i giorni, attorno all’ora di pranzo, spesso da solo e con la sua bella maglia di campione del mondo a fasciagli le spalle. Che emozione.
Poi l’ho conosciuto, da giovanissimo cronista che cominciava la sua carriera giornalistica. Lui grande campione acclamato e consacrato, io esile ragazzino con due “gambette così”, che aveva sognato sulle strade della Val Cavallina di diventare un giorno corridore. Un corridore lo sono diventato veramente, con scarse attitudini e modesto talento, ma mi sono divertito. Poi la vita mi ha portato al giornalismo e il giornalismo mi ha ricondotto al ciclismo, dove ho conosciuto tanti campioni del calibro di Merckx e Hinault, Motta e Dancelli, Moser e Saronni, Bugno e Chiappucci, Pantani e Basso, ma soprattutto lui: Felice Gimondi.
Riuscii a portarlo anche a Radio Popolare, lui che al profumo delle braciole del festival de l’Unità ha sempre preferito quello dell’incenso delle chiese. Il contatto ad una punzonatura ai giardini pubblici di Milano, quelli che oggi sono intitolati a Indro Montanelli. Mi presento, raccolgo il suo pensiero di grande ex sull’imminente classica di Primavera, e poi con faccia tosta lo invito in radio.
Eravamo a metà Anni Ottana, e con Agostino Zappia (oggi collega in Rai) avevamo ideato una rubrica settimanale di ciclismo a 360 gradi dal titolo “A ruota libera”. Felice mi chiese di richiamarlo al lunedì, e mi lasciò il numero di casa. Come da accordi lo chiamai, e con mia somma sorpresa mi rispose; concordammo l’ora e il giorno: venne in trasmissione, in piazza Santo Stefano dove all’epoca c’era la sede della Radio. Quando si trovò in quella vecchia e fatiscente casa a ringhiera tipica di una “vecia Milan” che stava per scomparire, ne rimase rapito.
Ricordo che rispose alle domande degli ascoltatori per più di un’ora, con disponibilità infinita, raccontandosi con grande generosità. L’Immensità di Don Backi, Detto Mariano e Mogol, cantata però da Johnny Dorelli, era la sua canzone preferita e ci confidò che nelle cronometro - per rimanere concentrato - spesso la cantava mentalmente. 
Fu una trasmissione bellissima, e tra i tanti che quel pomeriggio chiamarono ci fu anche Fernando Cortinovis. Ve lo ricordate Fernando detto “Lucio Dalla”? Proprio lui, quello che poi diventò uno dei corrispondenti dal Giro per Radio Popolare e per qualche anno è stato anche apprezzato addetto stampa alla Lampre di Beppe Saronni, fin quando un brutto male ce lo portò via in un amen.
Quanti ricordi con Felice, tantissimi davvero. Come quel viaggio fatto nel novembre del 2010: da Fiorenzuola d’Arda, luogo dell’appuntamento, a Faenza, per la 19° edizione del “Giorno della Scorta” di Silvano Antonelli. Felice puntualissimo come sempre, io anche. Guai a farmi trovare in ritardo con il mio mito giovanile. Lui sornione e pacato, ma all’occorrenza tagliente come pochi. Io curioso come sempre, quando mi ritrovo con il mio campione che di lì a poco sarà nominato “Ambasciatore” della sicurezza, argomento che a Felice è sempre stato a cuore. 
Quanti ricordi, quanti momenti trascorsi con il Grande Felice. Come per la festa dei suoi 70 anni, quando commosse i suoi gregari e le sue donne, quelle della sua vita: Tiziana, Norma e Federica. Inesauribile e travolgente come in quel 22 marzo scorso, per il varo della Fondazione Molteni, accanto all’amico-nemico Eddy Merckx. Quella sera tenne letteralmente banco: ironico e tagliente come poche altre volte. Ai miei occhi un gigante.
L’ultima immagine io confuso tra la folla nella piccola piazza di Paladina. Il feretro immobile sul sagrato, il lungo applauso. E la mente che corre via veloce a quel 12 giugno 1976. Anche quel giorno mischiato tra la folla in una piazza Duomo gremita, ad applaudire un Campione di prima grandezza, con quel sorriso mai ostentato e i fiori - per Tiziana - mostrati con misurato ma fiero orgoglio. E sulle spalle una maglia che ai miei occhi sembrava essere di un rosa abbacinante, capace di risplendere in un cielo color azzurro pastello. Allora mi parve di vivere come dentro ad un sogno. E quel ricordo si rifà oggi sogno, da vivere ad occhi aperti: da qui all’immensità.

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