Mazzoleni racconta Fuglsang, l'uomo dell'anno

di Giulia De Maio

Finora è stato il suo anno e ha la­­­vorato sodo perché continui ad esserlo. La stagione di Ja­kob Fuglsang sarebbe già da in­corniciare con il cre­scen­do nelle Ardenne: terzo all’Am­stel, secondo alla Freccia Val­lone e primo alla Liegi Bastogne Liegi, ma il 34enne danese non è tipo da accontentarsi. Le classiche non gli hanno riempito la pancia, da gustare c’è ancora il Tour de France. La corsa a tappe più importante di tutte, quella che lo ha fatto innamorare del ciclismo su strada. Conquistando il Criterium del Del­finato il capitano dell’Astana ha dimostrato di avere tutte le carte in re­gola per poter ambire al podio di Pa­rigi.
«Ho iniziato con la mtb e da ragazzino sognavo di vincere un mondiale, ci so­no riuscito da Under 23 nel 2007. Su strada non ho mai desiderato così tan­to una corsa in particolare, ad eccezione del Tour de France» racconta. «Da bambino ho visto vincere la maglia gialla da Bjarne Riis che, grazie alle sue gesta alla Grande Boucle, è diventato un idolo in Danimarca. In generale so­no stato influenzato da tutti i corridori del mio paese che correvano quando io ero piccolo: Jesper Skibby, Rolf Sø­ren­sen, Brian Holm, Ole Ritter, Kim An­dersen. Il ciclismo è molto popolare in Danimarca, il Tour è seguitissimo. Du­rante le vacanze scolastiche non mi per­devo una tappa, restavo in­collato alla tv dalla mattina alla se­ra».
Nato a Ginevra, in Svizzera, da genitori danesi il 22 marzo 1985, Jakob ha un passato giovanile ad alto livello nel fuoristrada (ha partecipato anche ai Gio­chi Olimpici di Pechino 2008 tra gli Elite, ndr) e una storia di piazzamenti di prestigio su strada, come l’argento olimpico a Rio 2016 conquistato dietro a Van Avermaet. Per tanti anni è stato un gregario extralusso. Citiamo un episodio su tutti: fu lui a scortare Nibali nella mitica tappa sul pavé del Tour 2014 così importante per il trion­fo giallo dello Squalo. Prof dal 2006, ha corso con Saxo, Leopard, Radio Shack e dal 2013 è in Astana, una squa­dra che definisce una famiglia.
«Adoro far parte di un gruppo internazionale, confrontarsi con personalità di­verse è stimolante e insegna molto». Come le lingue straniere. Lui ne parla svariate, tra cui l’italiano imparato quando da ragazzo ha vissuto nel no­stro Paese a cavallo della fine della sua carriera da biker e l’inizio di quella da stradista.
Con la moglie Loulou e la piccola Ja­mie Lou, che si appresta a compiere due anni, oggi vive a Montecarlo.
«Mi sono trasferito soprattutto per il clima, in Danimarca piove spesso, non è l’ideale per allenarsi, e mancano le montagne, fondamentali per un atleta professionista. Sono molto legato alla mia città d’origine, è immersa nella na­tura, tra foreste e bellissimi laghi. Vi­ci­no a casa dei miei genitori c’è il punto più alto del paese, andarci ti fa capire quanto la Danimarca sia piatta (sorride, ndr). Lì il calcio è lo sport nazionale, ma il ciclismo viene subito dopo. Nella mia famiglia nessuno lo aveva mai praticato, ma io pedalo da quando ho memoria. Andare al lavoro in bici è normale, io l’ho usata come mezzo di trasporto fin dai tempi dell’asilo. Da casa a scuola erano 2,5 km, praticamente tutti su una ciclabile, do­vevo attraversare due incroci, ma erano attrezzati con semafori adeguati, non dovevo condividere la strada con le auto, non c’erano rischi, era un tragitto semplice e sicuro anche per un bambino. Nel mio paese c’è una cultura della bicicletta e della convivenza tra mezzi, che si riflette nelle infrastrutture».
Si descrive come un ragazzo semplice e un atleta completo.
«Sono un tipo tranquillo, forse appaio un po’ timido e riservato. Mi piace sta­re a casa con le persone a me più care. Il ciclismo è la mia passione più grande ma non è l’unica nella mia vita. Amo viaggiare e fare immersioni. Mi interessa l’architettura moderna, in particolare l’arredamento immobiliare. In bici me la cavo su tutti i terreni, a parte in volata, che è il mio punto debole. Vado bene sia nelle corse di un giorno che in quelle di tre settimane, essendo in pe­riodi diversi dell’anno penso di poter puntare sia alla classiche più dure che ai grandi giri. Non è indispensabile scegliere tra le une e gli altri, anche se nel ciclismo di oggi se si vuole primeggiare bisogna sacrificare qualcosa».
Dopo la sua trionfale Liegi Jakob ave­va commentato: «Non so perché mi ci sia voluto così tanto tempo per ottenere un successo così importante, sembra che quest’anno tutti i pezzi del puzzle siano andati al posto giusto. Noi della Astana siamo riusciti a ottenere tanti successi con tanti corridori diversi, la cosa aumenta il morale e ti fa avere più fiducia perché sai di poter contare su compagni fortissimi, quando può arrivare finalmente anche il tuo giorno».
Se il suo giorno è arrivato il 28 aprile 2019, da allora per lui e i suoi compagni sono seguite numerose altre giornate da ricordare tanto che l’Astana è seconda solo alla Deceuninck Quick Step nella corsa al titolo di team più vincente dell’anno.
In carriera Jakob ha vinto tre volte il Giro di Danimarca, ma è stato il successo nel Criterium del Delfinato del 2017 a farlo svoltare.
«Quella corsa lo ha fatto entrare in una nuova dimensione. Ha sempre avuto valori molto buoni, ma nelle ultime stagioni ha raggiunto la maturazione fisica ottimale. Nella prima parte della sua carriera è stato sacrificato al servizio dei capitani, ora ha più spazio e maggiore consapevolezza nei propri mezzi. È cresciuto anche nella gestione tattica. Jakob è un gran lavoratore, è davvero pro­fessionale. Cura tutto con molta at­tenzione, dall’allenamento alla dieta. Fa la vita da corridore al cento per cen­to, qualità che alla lunga viene ripagata» racconta il capo degli allenatori del­la Astana Maurizio Mazzoleni.
Quest’anno ha iniziato vincendo la classifica generale della Vuelta a An­dalucía - Ruta del Sol; ha chiuso terzo la Tirreno-Adriatico dopo aver vinto la tappa di Recanati alzando le braccia al cielo nel ricordo dell’amico e compagno Michele Scarponi, e dopo una primavera da incorniciare (è stato pure secondo alla Strade Bianche, ndr) ha fatto capire di avere grandi ambizioni anche per la seconda parte di stagione, tanto da vincere il Delfinato, classico ultimo test prima del Tour de France.
«Abbiamo improntato tutta la stagione su due picchi di condizione: il primo che culminava con le classiche a lui più adatte, il secondo con la Grande Bou­cle. Dopo un periodo di recupero ab­biamo lavorato in altura a Isola 2000, prima di effettuare le ricognizioni delle tappe alpine. Negli ultini giorni di vigilia Jakob si allenerà a casa, per ricariche le pile in famiglia. La preparazione è andata per il meglio, ha un’ottima condizione. Prima del via del 6 luglio con i compagni proverà la cronosquadre di Bruxelles in programma il secondo giorno» continua Mazzoleni che, con la compagna Alice, guida il centro Modus Vivendi di Presezzo (BG) che si occupa di fitness personalizzato, preparazione atletica e rieducazione motoria a 360°.
Il miglior risultato di Fuglsang nella classifica generale della Grande Boucle è il settimo posto ottenuto nel 2013, ma praticamente ha sempre dovuto correre in appoggio a compagni più quotati di lui, prima i fratelli Frank e Andy Schleck, poi Vincenzo Nibali e Fabio Aru. L’anno scorso concluse dodicesimo a causa di un problema fisico (il malfunzionamento di un enzima non gli permetteva di assimilare correttamente il cibo, ndr), ormai risolto. Come ha detto lui stesso, quest’anno tutti i pezzi del puzzle stanno trovando il loro posto e allora ambire al podio finale è tutt’altro che un sogno campato per aria.
«Arriviamo con la condizione giusta per affrontare una corsa esigente come il Tour ed essere protagonisti fin dalle prime tappe - ribadisce Mazzoleni. - Ja­kob ha dimostrato al Delfinato di aver fatto tutto per bene e l’intera squadra è pronta alla sfida, Sanchez lo ha fatto vedere in Svizzera, Lutsenko si è preparato a dovere. Rispetto alle passate stagioni abbiamo anche un’arma in più: la competenza dell’ingegnere Ivan Ve­la­sco che cura la performance delle crono. Siamo pronti a confrontarci con leader che hanno già vinto il Tour o sono già andati a podio, sicuri delle nostre possibilità. Detto questo, le cor­se di tre settimane sono difficili e im­prevedibili, vanno davvero vissute tappa dopo tappa».
Sono già fuori dai giochi alcuni dei big più attesi a partire da Chris Froome e Tom Dumoulin, ma questo non cambierà il modo di correre della corazzata celeste.
«Froome è incappato in un grave incidente ma il Team Ineos resta il faro della corsa con la maglia gialla del 2018 Geraint Thomas e l’astro nascente Egan Bernal. In più ci sono tanti altri pre­tendenti al successo finale. Do­vremo fare attenzione a Romain Bardet così come ad Adam Yates. Sono contento che Fabio Aru sia tornato competitivo dopo l’operazione e Vincenzo Nibali, anche se punterà alle tappe più che alla classifica, potrebbe risultare l’ago della bilancia» conclude Maz­zo­le­ni, a cui chiediamo di confidarci il se­greto della stagione super della formazione guidata da Alexander Vino­kou­rov.
«Dietro alle tante vittorie conquistate quest’anno non ci sono segreti, ma so­lo una buona programmazione. Noi preparatori lavoriamo fianco a fianco con i direttori sportivi per stilare un calendario gare che preveda obiettivi chiari per ogni singolo atleta».
Se Fuglsang riuscisse a salire sul podio di Parigi sarebbe un premio meritato anche per il suo staff, in cui c’è tanta Italia. Dal manager Moreno Nicoletti al massaggiatore Cristian Valente, passando per i tecnici in ammiraglia Giu­seppe Martinelli, Bruno Cenghialta e Stefano Zanini. E sarebbe un bel regalo in anticipo per il preparatore Maz­zo­leni: Maurizio il 3 agosto sposerà Ali­ce. Auguri!

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